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Già dopo il suo primo romanzo, Conversations with friends, poi consacrato con il secondo, Normal people (da cui è stata tratta anche una serie di 12 episodi alla cui sceneggiatura ha contribuito direttamente anche la scrittrice), Sally Rooney è stata da più parti acclamata come la scrittrice dei Millennials, come la Salinger della “Snapchat generation”.
Proviamo allora a riflettere su quali nuclei della psiche collettiva la narrativa di Rooney accende e scalda.
L’ingrediente sostanziale di tutti i suoi romanzi sono le relazioni: relazioni d’amore, relazioni d’amicizia, relazioni familiari. Quelle d’amore e d’amicizia sono puntellate da una sostanziale fluidità (diremmo “liquidità”, per evocare con un’esatta messa a fuoco il modo con cui Zygmunt Bauman usa il termine): coppie aperte, esperienze bisessuali, rapporti che transitano dall’amicizia all’amore e poi di nuovo all’amicizia, in un ricco e cangiante caleidoscopio di vicende; le relazioni familiari sono, invece, spesso marcate da un’incapacità di dialogo, da una distanza difficile da colmare.
Rooney parla dei tormenti dell’adolescenza e della giovinezza, e ne parla con una dedizione cristallina, con una florida attenzione ai particolari. Ci regala lunghi dialoghi, in cui siamo messi al corrente di quello che le persone si dicono, e dietro ai dialoghi ci mette anche a parte di quello che le persone non si dicono, quindi dei moventi che stanno dietro le parole e i comportamenti che poi accadono.
Questo procedimento, per il lettore, è appassionante, perché aiuta a capire la “psicologia” del personaggio: capiamo ad esempio che dietro molti distacchi c’è un profondo senso di inadeguatezza, percepiamo l’orgoglio e la paura dell’abbandono, la rabbia che si distilla, l’umiliazione, l’ossessione per la popolarità, l’ossessione anche per il giudizio dell’altro e, insieme, la spinta imperativa ad essere se stessi.
Quello che osserviamo, come spettatori, è una tensione costante tra l’equivoco e la sincerità. Detto ancora: l’equivoco che accade tra le pagine dei suoi romanzi non è quello, fatale e destinale, del messo di Romeo e Giulietta che si attarda nel cammino e non consegna il biglietto che chiarisce lo stratagemma del veleno/non veleno; l’equivoco in cui spesso i personaggi di Rooney si trovano nei loro scambi affettivi è provocato da un desiderio di dire frustrato da un’impossibilità a dire. I personaggi sono mostrati nel tentativo, a volte ciclopico a volte pieno di grazia, di liberarsi dalle proprie difese e fare spazio all’altro.
Su un piano psicologico ancora più fondo, mi sembra che Rooney restituisca al narcisismo, piaga relazionale del nostro tempo, un statuto meno pop e più autenticamente dinamico: il narcisismo nelle sue pagine non è manipolazione del rapporto, ma difesa narcisistica dell’individuo che teme di smarrirsi se si affida all’altro.
Nelle relazioni descritte da Rooney la manipolazione non c’è. C’è tradimento, incertezza, fuga, ma non manipolazione. Ci sono sintomi psicologici (un personaggio si infligge ferite per non andare in pezzi, un altro entra ed esce da crisi depressive, un altro ancora ha attacchi di panico) ma c’è rispetto, attenzione, sguardo attento sulla sofferenza, non negazione e proiezione sull’altro.
Non so dire se questa onestà nel maneggiare i sentimenti sia la traduzione di una tensione che appartiene alla generazione Millennial o sia la felice competenza di una scrittrice. Certo è che se le persone fanno la fila per accaparrarsi un suo libro, segno è che di quella possibilità relazionale c’è grande desiderio.
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