depressione
Cos’è la FOMO e perché tutti ne parlano
Si chiama Fear Of Missing Out e consiste nella paura di essere tagliati fuori dagli eventi sociali. Ora è sempre più legata al bisogno di essere connessi online
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In questa strana guerra fredda, notavo che la mia ex soffriva particolarmente della situazione. A me non preoccupava più di tanto, mentre lei sembrava mal tollerare la rinuncia a partecipare ad un evento organizzato dai nostri amici. Aveva una sorta di ossessione per la presenza. Perdere un evento le provocava un’angoscia peculiare che, nel linguaggio del profondo, somigliava ad una perdita del Sé. Non partecipare equivaleva a non esistere o quantomeno a vivere un’esperienza monca.
Soltanto anni dopo scoprii che alcuni ricercatori avevano cercato di concettualizzare questo fenomeno, introducendo la FOMO, la fear of missing out, cioè la paura di perdere eventi o situazioni che coinvolgono la tua cerchia sociale. Una forma di ansia che consiste nel vivere la relazione sociale nei termini di una corsa estenuante, nella quale il senso di esclusione e l’obbligo di restare al passo con gli altri dominano il pensiero di chi ne fa esperienza.
Negli ultimi tempi, la FOMO viene sempre più associata alla possibilità di rimanere connessi attraverso i social network e naturalmente con lo sviluppo della pandemia questo tipo di disagio sembra essere aumentato a dismisura, a causa della condizione di isolamento dettata dal lockdown e dalla riduzione delle possibilità di contatto con gli altri, limitate al virtuale.
La chiusura degli spazi sociali ha da una parte ridotto la FOMO rivolta al mondo esterno. Tutti eravamo bloccati, non c’erano più occasioni mondane e dunque non c’erano motivi per perdersi qualcosa. Al massimo c’era la sensazione generalizzata di dover rinunciare alla propria vita precedente, ma in fondo, coinvolgendo il mondo intero, era tollerabile.
La condizione ansiosa è stata allora traslata nel mondo virtuale. La continua esposizione alle vite degli altri, agli status su Facebook, alle foto di Instagram, alle notizie di Twitter, rendevano per alcuni insopportabile la rincorsa a “mettersi in pari”. Il mondo si era fermato, ma non si erano fermati gli impegni. Così coniugare smart working, gestione dei rapporti familiari, spesso coatti, e call con amici e parenti, aperitivi carbonari o flashmob sui balconi, diventava sempre più tortuoso. Quelli oberati dagli impegni di lavoro erano maggiormente esposti alla FOMO, sentendo di essere esclusi da una nuova socialità che nel frattempo stava prendendo il sopravvento.
Quando poi il lockdown è finito ed alcuni locali hanno riaperto, è emerso un nuovo conflitto. La voglia di riappropriarsi degli spazi comuni era contrapposta alla paura di contagiarsi, alla barriera delle mascherine, al pericolo che un concerto venisse annullato all’ultimo momento e dunque all’incertezza del calendario, mentale prima ancora che temporale. Oltre a ciò, la difficoltà a tornare ai ritmi di un tempo. Qualcuno ha scoperto con sgomento che preferiva restare a letto che uscire a bere con gli amici.
Sul web è stato un proliferare di articoli sulla FOMO, eccessivamente incentrati sull’aspetto virtuale (e sulle conseguenze - ormai un mantra - dell’esposizione sempre più frequente a smartphone e pc), ma anche sull’aumento improvviso di un fenomeno che un tempo coinvolgeva una ristretta minoranza. Un dato poco significativo, dal momento che utilizzare il digitale per contattare gli altri è diventato un obbligo per tutti, con scarso potere discriminante fra soggetti vulnerabili o meno.
La ricerca più interessante è stata svolta dal team condotto dalla psicologa Julia Brailovskaia, che ha tentato di indagare le correlazioni fra la FOMO e l’eccessivo uso degli smartphone durante la pandemia. Le correlazioni in sé non dicono molto di più di quello che già abbiamo sentito più volte, ma perlomeno la Brailovskaia ha cercato di identificare costrutti che spieghino il comportamento problematico.
Fra la FOMO e la ricerca spasmodica di gratificazione tramite social, viene introdotto il senso di controllo, che sarebbe particolarmente ridotto nei soggetti che sperimentano maggiormente la paura di perdere occasioni sociali e che ricorrono compulsivamente allo smartphone per ridurre l’esperienza negativa.
In altri termini, chi durante la pandemia vedeva crollare i contesti a cui faceva riferimento nella sua vita prima del lockdown (perdita del lavoro, ridotte esperienze sociali, perdita di gratificazione nel partecipare ad eventi mondani o a fruire di contesti culturali e d’intrattenimento) era più tentato dall’utilizzo dei social network come palliativo. Sono convinto che la situazione sia molto più complessa. La vera sfida del futuro prossimo sarà coniugare ancor più i contesti digitali a cui ormai siamo abituati (smart working, app di dating, social network) con la rinnovata possibilità di tornare in strada a godere di esperienze sociali. La FOMO potrebbe allora tradursi in un sovraccarico: come essere sempre presenti nel mondo e allo stesso tempo nel metaverso?
La risposta ha diversi risvolti psicologici. Avrà a che fare con il senso che daremo al presenzialismo, al controllo della propria vita, all’angoscia d’inesistenza. Toccherà pensare più che organizzare il calendario ed il tempo.
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