#secondalettura
Open di Andre Agassi
Un racconto che è la sublimazione in parole di un vero percorso di individuazione. A partire dalle proiezioni di un padre asfissiante.
Continua a leggereAspettando i barbari, di J. M. Coetzee
Quando le parti incomprese e inammissibili della psiche vengono espulse della coscienza e incarnate in oggetti esterni, da cui diventa necessario difendersi
Continua a leggereLe inseparabili, di Simone de Beauvoir
Un romanzo sulla funzione di rispecchiamento della relazione e sul valore dell’autenticità
Continua a leggereLezioni Americane di Italo Calvino
Perché utilizzare bene il linguaggio aiuta anche a differenziare gli stati emotivi
Continua a leggereCambiare l’acqua ai fiori
Il dialogo tra la vita e la morte, che si rinsalda attraverso la memoria
Continua a leggereLe otto montagne, di Paolo Cognetti
Un dialogo aperto tra la fedeltà alle matrici originarie e le direttrici dei percorsi di individuazione
Continua a leggereTrilogia della città di K., di Agota Kristof
Un libro che costantemente si sdoppia senza rinunciare ad essere compiutamente una narrazione: struggente e perturbante come sono i sogni
Continua a leggereCecità, di José Saramago
Più si unilateralizza la visione di se stessi e del mondo più sarà forte la crisi che scuoterà la psiche verso nuovi equilibri
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La vicenda si svolge in un imprecisato avamposto dell’Impero, una cittadella fortificata in un territorio tra un lago, i monti e il deserto. Qui un magistrato, narratore della storia, vive amministrando la giustizia, in un sistema misurato sul buonsenso e scandito da una pacifica inedia. Già dalle prime pagine, però, il narratore ci parla dell’arrivo del colonnello Joll della temibile Terza Divisione dell’Impero, incaricato di assicurare i “confini del regno” contro l’aggressione dei barbari. A nulla vale la ragionevole protesta del magistrato, che testimonia la totale sicurezza del posto: da quel momento si instaura un clima crescente di sospetto inquisitorio, di cui anche il magistrato diventa oggetto. Da una spedizione ordinata da Joll vengono condotti nella cittadella poveri mendicanti, pescatori, indigeni; verranno violentemente torturati, fino all’estorsione dell’architettata testimonianza di un piano di aggressione dei barbari contro l’Impero. Da lì il racconto subisce il saliscendi della violenza gratuita: feroce, poi languida, negata, rimossa; insensata, sempre.
Il magistrato, che non può in coscienza assolversi per essere egli stesso una rappresentante dell’Impero, decide di prendersi cura di una ragazza che le torture hanno reso cieca e storpia. Il loro rapporto non riuscirà mai, tuttavia, a superare l’irriducibile alterità che tra i due è marcata sia dalla cultura che dalla posizione sociale. La ragazza, per il magistrato, è un mistero che non può trasformarsi in amore, né in comprensione, né in redenzione.
Della relazione con l’alterità radicale Aspettando i barbari è una potente allegoria. Della relazione con l’alterità che diventa pericolo, che, nel tentativo di scovare il nemico, crea il nemico.
Potremmo tradurlo, sul piano psicologico, come l’esemplificazione di una dinamica di massiva proiezione d’Ombra, intendendo per Ombra la dimensione inconscia che racchiude tutto ciò che per la coscienza è scomodo, inammissibile, torbido. Quando non siamo disposti a confrontarci con le nostre parti più ripugnanti, le espelliamo inconsciamente fuori da noi, proiettandole in oggetti esterni (persone, idee) che da quel momento, in un drammatico cortocircuito della responsabilità, vivremo come minacciosi. E più sarà lontana dalla coscienza la possibilità di instaurare un dialogo con queste parti espulse, riconoscendone la matrice, più sarà violenta la seduzione di attaccarle fuori. Questo processo vale per il singolo, ma vale anche per il collettivo.
E’ il processo che sta alla base di tutti i fenomeni di razzismo, totalitarismo, fanatismo.
Per questo Aspettando i barbari è un libro visionario e attualissimo, che denuncia la pericolosità di ogni rapporto di potere, che non fa sconti, che non si esaurisce in nessuna buona novella, che non redime.
"Qualcosa mi ha guardato dritto in faccia e io ancora non la vedo", ammetterà alla fine il magistrato, dopo il suo lungo viaggio negli inferi. Essenziale, potremmo ribattere, è non abbassare lo sguardo.
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