Le Lezioni Americane di Italo Calvino sono tra gli scritti più citati da chi si occupa di storytelling e di comunicazione di marketing. Chissà se ne sarebbe stato contento l’autore. Che, già nel titolo, è stato privato di una specifica paternità del libro: Lezioni Americane è il modo in cui colloquialmente l’amico Pietro Citati chiamava il libro a cui stava lavorando Calvino e che, dopo la sua morte, è stato scelto dalla moglie per portarlo alle stampe. Ma questo è poi il destino di tutti i libri: al di là delle intenzioni con cui sono stati scritti, una volta pubblicati si costruiscono una propria storia indipendente. Qual è la storia, o una delle storie, che racconta oggi questo testo? Perché è tanto attuale? Senz’altro possiamo trovarci delle intuizioni eccezionali rispetto alla comunicazione. Scritto intorno alla metà degli anni ‘80, quindi negli anni in cui si stava facendo strada l’utilizzo del codice linguistico dei computer, Lezioni Americane coglie le potenzialità e i rischi di un linguaggio che mostrava i segni di una grande rivoluzione. Le storie, come la storia, stavano per essere prese dal vortice di una grande accelerazione e Calvino ne ha sapientemente individuato le traiettorie e gli esiti. Le lezioni sono 6, anche se l’ultima è stata soltanto abbozzata. E sono nominate ognuna con un valore essenziale della nuova comunicazione: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità, Concretezza (o coerenza, o la traduzione più adatta a rendere il termine inglese Consistency, che Calvino stava usando). Prese tutte insieme, indicano una comunicazione mercuriale, se consideriamo le qualità che Jung attribuisce alla figura archetipica di Mercurio: una forza giovane, trasformativa, ubiqua, veloce, polisemica, sintetica, intuitiva, emozionata, immaginale. Dell’approfondimento che Calvino ha dato dei valori della comunicazione, sembra tuttavia che la comunicazione mainstream abbia stressato soprattutto i primi due valori: la leggerezza e la rapidità. E anche in modo poco appropriato. La Leggerezza, per esempio, è stata considerata soprattutto come antidoto alla “pesantezza” e si è fatta equivalere troppo spesso alla riduzione di complessità. Così come la rapidità, se pensiamo alle regole di indicizzazione di Google che “riconoscono” un testo che funziona: frasi brevissime, senza subordinate, subito al punto. Che sarebbe anche una buona idea, se questa estrema ricerca della sintesi non corrispondesse troppo spesso alla creazione di testi ipersemplificati, in cui il sacrificio della complessità dell’articolazione stilistica è spesso a servizio di una comunicazione ad effetto e, forse ancor peggio, stereotipata; in cui si rischia di perdere tutti gli altri valori di una buona comunicazione: che sia pertinente, vicina al significato e per questo ricca, vitale, con forti capacità evocative e capace di connotare diversi universi di senso. Il linguaggio, come codice di lettura della realtà e di intervento su di essa, è un aspetto fondamentale del fare esperienza del mondo. Quando si parla di analfabetismo funzionale ed emozionale, se prendiamo questi termini seriamente e non - anche qui - come slogan, ci stiamo ponendo una questione serissima, che riguarda appunto la capacità cognitiva ed emozionale di intendere le cose del mondo e le relazioni tra di esse e, per estensione, le relazioni tra i soggetti della comunicazione. Quando in psicologia si parla di alessitimia, si indica una incapacità di nominare le emozioni, di discriminarne le qualità sottili. In questo contesto, il linguaggio e l’emotività rivelano una profonda interdipendenza: dare i nomi corrisponde ad un processo di definizione intima che consente di chiarire la sfumatura affettiva dell’emozione. “Mi sento giù” è, ad esempio, un contenitore molto generico, in cui - guardando meglio - si possono distinguere qualità emotive molto diverse: frustrazione, impotenza, rancore, tristezza, apatia… Allenarsi alla differenziazione è, quindi, un processo cognitivo ed affettivo che implica necessariamente il linguaggio come strumento di comprensione ed elaborazione dei vissuti ed è quindi importante che il linguaggio a disposizione sia ricco e plastico.
Anche per questo Lezioni Americane è un libro prezioso. E’ un libro che ci interroga e interroga il modo in cui utilizziamo gli strumenti che sono a nostra disposizione.