Ho avuto per molto tempo un pregiudizio a leggere Open di Andre Agassi. Il ricordo che avevo di lui era di un tennista sempre sopra le righe, un adolescente fanatico e arrogante. D’altra parte la stampa ne parlava perlopiù così e spesso si ha poco tempo per approfondire criticamente la versione mainstream delle cose.
Open è invece un libro molto bello. Quasi cinquecento pagine in cui si parla di tennis, certamente, ma in cui il tennis è contesto che fa da cornice alle alterne vicende di un ragazzo e poi un uomo che sta cercando se stesso, come nei migliori romanzi di formazione.
Lo stesso protagonista lo dice: da vicino, ogni uomo - anche quelli che vivono in circostanze eccezionali, come appunto i grandi sportivi o i divi dello star system - si confronta con le emozioni che riguardano la vita di tutti. Di sostanzialmente diverso è che per i personaggi pubblici ogni comportamento ha il potenziale di essere sclerotizzato in un’immagine da cui dedurne personalità e moventi. Nel libro, seguiamo - affezionandoci - le vicende di Andre che fin dai primissimi anni di vita è scelto dal padre come colui che dovrà diventare il numero 1 nel mondo del tennis. Molti passaggi del racconto sono dedicati ad affrescare la relazione con questo genitore tenace, testardo, violento, assolutista, e in molte pagine ci sembra di ritrovare la relazione che John Fante descrive in capolavori come La confraternita dell’uva.
Nel tentativo di drenare un’identità personale dal paludoso investimento paterno, Andre consacrerà i suoi comportamenti ad ogni sorta di contrapposizione con le figure e gli istituti di autorità, incapace di contrastarne il nucleo fondante: giocare a tennis.
Dal punto di vista psicologico, quindi, Open racconta il processo di individuazione del protagonista, che di alcune posture imposte dalle aspettative genitoriali si libera e di alcune invece si accorgerà di non poter fare a meno, perché descrivono autenticamente ciò che lui è via via diventato, in un processo di elaborazione e trasformazione della materia originaria.
Degno di nota, anche, è che questo processo sia costantemente accompagnato dalla consapevolezza della propria fragilità, dei propri atteggiamenti reattivi, delle proprie paure paralizzanti.
Degno di nota, anche, è che tutto il processo di crescita sia continuativamente assolto attraverso la relazione con altri significativi. I personaggi di cui Andre si circonda - allenatori, mentori, amici, coach, fidanzate, persino avversari - rappresentano nella narrazione un’umanità densa e necessaria che fa da trama sottesa alla crescita individuale.
Perché sul campo da tennis si è mortalmente soli. Fuori dal campo, si può scegliere invece che gli altri siano il centro pulsante della vita.