“Nella Storia non esistono certezza. O meglio, forse una sola legge esiste: non invadere mai la Russia”
Alessandro Barbero, il divulgatore storico più popolare dei nostri tempi, così tentava, ironicamente, di rispondere all’annosa questione rivolta da sempre agli storici: studiando la Storia, si possono prevedere gli eventi futuri?
Se Isaac Asimov, con la sua psico-storiografia fantascientifica, ne era convinto, Barbero sa bene che la Storia è fatta di uomini e che non si ripete mai due volte allo stesso modo. Il fatto che Adolf Hitler conoscesse la disfatta di Napoleone e che l’imperatore francese conoscesse a sua volta gli esiti infausti delle campagne russe di Carlo XII di Svezia, non è comunque stato un deterrente. Ciascuno di loro era intimamente convinto di poter fare diversamente, ma a oggi invadere la Russia resta un sogno irrealizzato. Nonostante l’apparente ricorrenza, gli eventi storici non sono mai identici a sé stessi.
Probabilmente il migliore aforisma sul tema lo disse Mark Twain: “La storia non si ripete, ma spesso fa rima”.
Forse qualcuno sta cominciando a comprendere perché una newsletter che parla di Psicologia, stia trattando l’argomento storico.
La nostra psiche, i nostri vissuti, spesso ci portano a percepire gli eventi della vita come un’eterna ripetizione delle stesse dinamiche. Eppure qualcosa sfugge, un pezzo del puzzle non s’incastra alla perfezione. Somiglianze e differenze si alternano in un gioco prospettico fra mente conscia e razionale, che nota diseguaglianze e asimmetrie, e mente inconscia, che uniforma tutto entro rapporti simmetrici.
Anche le nostre emozioni non si ripetono uguali a sè stesse, ma spesso fanno rima fra loro.
C’è però anche un altro motivo per cui lo studio della Storia diventa paradigmatico anche per l’indagine psicologica.
Nel 1979, Carlo Ginzburg, storico e saggista, pubblicò Spie. Radici di un paradigma indiziario. Il paradigma indiziario, così come concepito dall’autore, è inteso quale “metodo interpretativo imperniato sugli scarti, sui dati marginali, considerati come rivelatori. Considerati di solito senza importanza, o addirittura triviali, 'bassi', essi forniscono la chiave per accedere ai prodotti più elevati dello spirito umano”.
Ginzburg non fu il primo a introdurre questo cambio di prospettiva nell’indagine storica, ma certamente a lui si deve una sistematizzazione di metodo.
Gìà Marc Bloch, probabilmente il più grande storico del Novecento, così poco conosciuto nella cultura generale e così tanto amato dagli storici, si accorse che a partire dagli aspetti più scontati della realtà, si potesse ricostruire un’epopea storica, indizio di come i “fatti storici” si siano evoluti.
In una famosa lettera al suo più caro amico e collega, Lucien Febvre, Bloch si prodiga in un’appassionata analisi della marmellata. “Ma voi avete idea di quante cose si possono scoprire da una marmellata?”.
Bloch si rese conto che la tradizione di preparare la marmellata in casa, già alla sua epoca un mito legato alle nonne contadine, in realtà era una falsa tradizione, o quantomeno una tradizione molto recente, che in poco tempo si era cristallizzata in un racconto storico apparentemente perso nei secoli.
Bloch scrive le sue riflessioni negli anni ‘30 del Novecento. Interrogandosi sulla marmellata, considerò che per essere divenuta un metodo di conservazione della frutta diffuso fra le classi meno abbienti, non potesse trattarsi di una “tradizione” così antica. Al massimo, si poteva far risalire a due, forse tre generazioni precedenti alla sua.
Perché la marmellata potesse essere prodotta dai contadini, si doveva disporre di zucchero a basso costo. Lo zucchero, per secoli, era stato un prodotto di lusso. Importato dalle americhe e dalle indie, grazie a costosissimi percorsi marittimi, lo zucchero di canna era il vanto dell’alta borghesia e della nobiltà terriera, le uniche classi che potevano permetterselo.
Con la scoperta dell’estrazione dello zucchero dalla barbabietola, fu possibile eludere i lunghi viaggi in mare e produrre il dolcificante direttamente in Europa e su scala industriale. L’estrazione meccanizzata del saccarosio, tuttavia, cominciò ad entrare a pieno regime soltanto nella seconda metà dell’800.
Dunque, negli anni ‘30 del Novecento, la marmellata era sì una tradizione, ma che era cominciata soltanto pochi decenni prima.
Bloch utilizzò proprio il metodo proposto anni dopo da Ginzburg. Si interrogò su ciò che è marginale, scontato, mitizzato, lo destrutturò per risalire alle sue origini e comprendere meglio come si formano i miti e le tradizioni.
Ma cos’ha a che fare tutto ciò con la Psicologia?
Abbiamo deciso di chiamare questa newsletter Lapsus, in senso paradigmatico. Freud, più o meno consapevolmente, fece ciò che anni dopo avrebbe fatto Marc Bloch, ma applicandolo all’inconscio umano.
Freud comprese che proprio negli scarti, negli aspetti marginali della psiche, potesse annidarsi un indizio rivelatore, un simbolo che avrebbe permesso di risalire alle origini del disagio psichico portato dai suoi pazienti. Il suo fu a tutti gli effetti un metodo storico: dall’ovvietà del presente, poteva risalire a ritroso fino ai significati più profondi e rilevanti del vissuto della persona, alla sua storia, ai suoi traumi e alle sue fantasie inconsce.
In fondo, la Storia e la Psicologia, per quanto distanti negli obiettivi, sono vicine nel metodo. E possiamo dire con una certa sicurezza che almeno uno degli scopi della Psicologia sia porre attenzione a ciò che diamo per scontato, ricondurlo al suo contesto d’origine e capirne il senso, rivelando aspetti psichici ed emozionali inattesi.