Perché è difficile andare via da una relazione violenta?

Perché è difficile andare via da una relazione violenta?

Il 25 novembre si celebra  nel mondo la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza istituita dall' Assemblea generale delle nazioni Unite, che in questa data invita i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica su una delle più devastanti violazioni dei diritti umani.

La violenza sulle donne è una piaga sociale che ancora fa numeri che danno il capogiro. Nel mondo, una donna su tre subisce violenza. In Italia, dati Istat mostrano che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. 

Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner.

Questi numeri sono tragicamente aumentati durante la pandemia, a causa della forzata vicinanza domestica. Durante il lockdown le chiamate ai centri antiviolenza sono aumentate di più del 70%, interessando anche donne giovani o giovanissime.

Il fenomeno che stiamo tracciando è, sul piano sociale e psichico, uno stato di permanente emergenza, e non si può mancare la riflessione sul significato di questi dati.

Che la stragrande maggioranza dei casi di violenza avvenga tra le mura domestiche o ad opera di persone con cui si ha avuto o si ha una relazione intima, ci dice che la violenza verso le donne appartiene ad un codice collettivo culturale molto difficile da eradicare. 

Ci dice che la violenza avviene dentro un campo relazionale in cui c’è stata (o anche c’è ancora) una relazione affettiva primaria ed essenziale.

Nella pratica clinica, non è affatto raro ascoltare racconti di violenza subita: può essere uno schiaffo, una reazione verbale dai toni molto violenti, può essere un rapporto sessuale imposto contro la volontà. Non si tratta di episodi “normali”, che chi subisce può attribuire ad uno scambio anche molto acceso che rientra in una reciprocità relazionale. Questi racconti aprono una visuale su qualcosa di spaventoso e temibile. Poi accade che questi episodi vengano normalizzati. Giustificati da un momento di particolare stress. Oppure da qualcosa che si decide di attribuire a se stesse come miccia che ha provocato l’esplosione di rabbia o l’abuso dell’altro. 

Insomma, ci si può separare per essere state picchiate una sera? La domanda non è retorica, perché è la domanda che molte donne si fanno e fanno. 

Il nodo problematico, sul piano psicologico e culturale, quindi è: quali sono i sintomi, i segni inderogabili, di una relazione maltrattante? Qui non si tratta solo di passare al setaccio le azioni violente attribuendo punteggi di gravità, si tratta più in generale di comprendere gli assiomi emotivi personali e culturali che sottendono le relazioni affettive.

Ancora troppo spesso si tollerano condotte che sono segnali preoccupanti di derive relazionali violente. Perché, appunto, la violenza avviene soprattutto con una persona che non è estranea, ma è il proprio partner. Con cui si condivide una storia, un’intimità che si è costruita nel tempo, con tracce indicibili, difficili da portare alla coscienza e difficili da dire fuori da quel perimetro. “Io lo conosco”, si pensa. E si potrebbe tradurre: la relazione tra di noi è tante cose, vissute, promesse, dette e non dette, consapevoli e inconsapevoli, è una trama intricata di dinamiche affettive in cui entrano le luci e le ombre di entrambe le persone che la costruiscono. E, ancora allargando i confini, questa storia si poggia su un’ermeneutica dove sono sedimentati codici secolari di pensieri e condotte che condizionano i nostri sentimenti e la nostra interpretazione delle cose. 

Può essere la violenza uno spartiacque? Sì, la violenza dovrebbe proprio esserlo. E chi è vittima dovrebbe imparare a valutarne i segnali, senza fare sconti. Operazione durissima, laddove ancora la cultura collettiva è colpevolmente acerba, incistata in forme di pensiero arcaiche, per cui “si sa” come vanno le cose e quello che viene inconsciamente richiesto è adeguarsi e tollerare. 

Troppo spesso questa valutazione non riesce a varcare la soglia di casa, la soglia di una richiesta di aiuto. Troppo spesso si va avanti dove bisognerebbe fermarsi.

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