Allattamento al seno e intelligenza

Allattamento al seno e intelligenza

A cura della dott.ssa Antonella Sagone

Un articolo, ampiamente diffuso in rete, di una testata online ha riportato alla ribalta uno studio del 2015 pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Lancet. In questo studio la durata dell’allattamento al seno è stata confrontata con il punteggio nel test del quoziente di intelligenza, il livello di istruzione e il reddito all’età di 30 anni. Lo studio, condotto da alcuni ricercatori di autorità consolidata nell’area dell’allattamento, attingeva a una ricerca prospettica iniziata in Brasile nel 1982 e che ha raccolto innumerevoli informazioni sulla salute e le condizioni di vita di quasi 6000 individui dalla nascita in poi. Quasi 3500 soggetti, per i quali erano disponibili le informazioni richieste, sono stati esaminati ed è emersa una correlazione dose-risposta fra la durata dell’allattamento e gli altri tre parametri; cioè più a lungo era durato l’allattamento al seno, maggiore era il punteggio del QI, il grado di istruzione e il reddito. 

L’articolo divulgativo titolava quindi: “Allattamento al seno, Lancet: Più lungo sarà maggiore sarà QI e reddito da adulti”, il che come era prevedibile ha lasciato tutti un po’ insoddisfatti: gli adulti non allattati che hanno rivendicato il loro successo personale a prescindere dal modo in cui erano stati alimentati da piccoli; le madri che non allattavano al seno, indignate per quello che hanno percepito come un capo d’accusa nei confronti del loro operato e della brillantezza mentale dei loro figli; le madri di figli, allattati a lungo al seno, ormai adulti eppure disoccupati; e così via in un infinito gioco di accuse e controaccuse. Un film ormai visto troppe volte, causato sia dalla difficoltà di leggere e contestualizzare i dati delle ricerche, che dal modo in cui questi dati vengono presentati dai media, più interessati a suscitare forti emozioni che non a informare o invitare a una riflessione. Una responsabilità enorme per chi scrive e diffonde i risultati di studi scientifici, specialmente a livello divulgativo, che richiederebbe un’analisi e un ripensamento, avendo più cura a porgere queste informazioni in modo contestualizzato e con maggior attenzione al loro impatto culturale. 

Lo studio in questione, comunque, è ben disegnato e condotto, con particolare cura nell’analisi dei dati, discriminando i fattori confondenti che avrebbero potuto potenzialmente distorcere i risultati. In questo senso sono stati esaminati anche elementi come le caratteristiche della gravidanza, del parto e della nascita, le madri fumatrici, il livello di istruzione dei genitori, la condizione socioeconomica, il tenore di vita e i fattori genetici. La durata dell’allattamento è risultata correlata al livello di QI anche a prescindere dalle condizioni socio-culturali della famiglia. Una domanda alla quale i ricercatori hanno cercato di rispondere è: questi ragazzi sono andati bene a scuola perché allattati, o perché erano “più intelligenti” grazie all’allattamento? I dati mostrano che avere un QI più alto, come è abbastanza ovvio, aiuta per il successo scolastico e per il reddito, ma che comunque l’allattamento al seno incide in parte anche direttamente su questi successi. 

Un limite dello studio è il fatto che le informazioni sulla durata dell’allattamento siano state chieste ai genitori retrospettivamente, dopo circa un anno e mezzo dal parto, quindi con un certo margine di approssimazione nel ricordare esattamente; approssimazione comunque non tale da poter stravolgere significativamente i risultati. C’è inoltre da considerare che i dati sul reddito sono stati raccolti relativamente al mese precedente l’intervista, ma in Brasile gli impieghi fissi, con reddito costante, sono rari e quindi c’è possibilità che i valori siano falsati – anche se non in maniera significativa, dato che sono stati comunque corretti alla luce della valutazione del tenore di vita. 

Gli stessi autori poi ammoniscono che “non avendo misurato le caratteristiche dell’ambiente familiare durante l’infanzia, né il legame fra madre e figlio, non è possibile accertare se le associazioni identificate possano venire attribuite di per sé alle componenti biologiche del latte materno, oppure al legame con la mamma o alla stimolazione intellettiva del bambino allattato”. 

Ogni risultato della ricerca scientifica va contestualizzato: lo studio è stato effettuato in Brasile, in cui alcuni aspetti legati al successo negli studi, al tipo di impiego lavorativo e al reddito, sono molto diversi dalle situazioni di altri Paesi, come ad esempio l’Italia. Infine la realtà è molto più complessa delle statistiche, che per quanto accurate e applicate a dati raccolti con scrupolosa attenzione, sono comunque una semplificazione rispetto all’enorme mole di fattori che incidono su cose come l’intelligenza, il successo scolastico o il reddito. 

In effetti, che cosa significano esattamente concetti come intelligenza o successo sociale?

I risultati al test del QI non sono una valutazione dell’intelligenza come funzione complessa, ma mostrano solo la performance in un compito specifico. L’intelligenza, come da tempo ammoniscono gli studiosi della materia, non è solo problem solving o abilità cognitiva, ma è anche intelligenza emotiva, cioè capacità di comprendere, comunicare, gestire ed utilizzare le emozioni assieme alle capacità cognitive, per relazionarsi e muoversi nelle proprie scelte e azioni in modo integrato: un aspetto fondamentale per conseguire una realizzazione personale che sia espressione autentica e completa del proprio potenziale umano, e non soltanto successo sociale esteriore o basato appunto su valori come il reddito o il tenore di vita. Viviamo in un mondo distopico in cui il successo esteriore e la performance in settori specifici è sopravvalutata a scapito di valori quali la felicità o la realizzazione affettiva; questo spiega forse perché ci si scaldi tanto quando si discute di risultati come quelli di questa ricerca. 

Ma allora queste conclusioni dello studio brasiliano sono una mistificazione da ignorare semplicemente? Certamente no. I dati che legano l’assunzione di latte materno a migliori risultati nei test di intelligenza hanno conferme ormai da decenni, e molti studi hanno riscontrato risultati analoghi a quelli della ricerca brasiliana. E che un maggiore QI porti a migliori risultati negli studi e anche a un miglior posizionamento sociale è un altro fenomeno ampiamente riscontrato in molte ricerche.

Questi dati andrebbero accolti con serenità e non come fossero un attacco al proprio stile genitoriale; descrivono una situazione, ma vanno maneggiati con cautela quando dal piano descrittivo si passa all’interpretazione e alle conclusioni. è qui che l’aria si surriscalda! Ma l’intelligenza è più di un alto punteggio in un test, e il successo sociale va oltre il titolo di studio o il reddito mensile. Dato che l’allattamento materno è la norma biologica, non dovrebbe stupire che consenta con maggior facilità di esprimere il potenziale di salute di un individuo; tuttavia questo non impedisce a un genitore di esprimersi anche in altri modi e su piani diversi da quello della relazione di allattamento.

E la funzione genitoriale non si esaurisce certo sul piano “educativo”, di guida o modellamento dell’individuo per favorirne l’inserimento in un dato sistema sociale; né tanto meno la qualità di un genitore si misura in termini di abilità di coaching, cioè in base al successo perseguito dai figli all’interno di una scala di posizionamento sociale od economico. La funzione genitoriale è prima di tutto esserci, è contenimento, empatia, ascolto, rispetto delle potenzialità, sentimenti e bisogni del bambino, è modello non solo comportamentale ma anche emotivo, è base sicura dalla quale il giovane individuo può partire per fare il suo percorso di individuazione personale e spiccare il volo nel mondo verso la direzione che lui ha scelto. 

Evitiamo allora di cadere nel tranello del confronto sterile e distruttivo fra genitori, ricordando che ogni storia genitoriale è unica e che se da un lato va promosso l’allattamento in quanto fisiologia, di cui è auspicabile possa esprimersi l’immenso potenziale, ugualmente va promossa e protetta la relazione unica del bambino con i suoi genitori, in quanto spazio libero da etichette entro il quale tutto l’amore e il rispetto possibili possano nascere e sbocciare.

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