“E’ più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”. Albert Einstein
Siamo in un assolato pomeriggio d’estate e la Garbatella, quartiere popolare romano, è deserta. Anche se sono gli anni ‘70 e le vacanze estive non sono così diffuse come avviene oggi, la maggior parte dei residenti ha deciso di restare in casa per eludere l’afa agostana. Le strade e le piazze sembrano paralizzate da un’atmosfera senza tempo, soltanto il rumore incessante delle cicale dà una minima sensazione di movimento.
Maria, però, è una bambina di 6 anni e vuole giocare. E’ scesa in strada e comincia a vagare con la mente e con il corpo: un passo di danza, una palla lanciata contro al muro e restituita con stanchezza alle mani di Maria, che si abbassa e nota una coccinella sull’asfalto.
Di traverso Maria si accorge che ora c’è qualcuno sullo sfondo. Un uomo scuro, claudicante, che sta camminando verso di lei. All’inizio Maria è sorpresa, ma non riesce a focalizzare bene quello che sta accadendo. Un dettaglio però le fa salire un’improvvisa sensazione di terrore. L’uomo stringe nella mano destra un sacco di tela e a Maria vengono subito in mente le parole che la madre le ripeteva sempre: “stai attenta agli zingari, quelli ti mettono dentro il sacco e poi non si sa dove ti portano”.
Maria sente il cuore battere all’impazzata. Si alza, lascia la palla sulla strada e comincia a correre. L’uomo dietro di lei la insegue, ma Maria è veloce, il portone del suo palazzo è aperto, entra e sale le scale più in fretta che può. Arrivata davanti alla porta di casa suona il campanello con tutta la forza che ha, fino a che sua madre non le apre la porta.
“Che c’è, Maria?”. La bambina non risponde, entra in casa, chiude la porta e si getta a terra a piangere.
Ora Maria ha 35 anni ed è appena tornata dal mare di Ostia, assieme a suo figlio adolescente. Prende le chiavi per rientrare a casa, ma la scena è agghiacciante. La stessa porta che 30 anni prima sua madre aprì per salvarla, ora è completamente divelta e poggiata su un lato del muro. In casa c’è un grande disordine, i gioielli di famiglia sono spariti, qualcuno ha messo le mani fra le sue lenzuola, mani sporche, mani di ladri. “Sono stati gli zingari” è il primo pensiero di Maria.
Maria adesso ha 60 anni. E’ una brava cristiana, lascia sempre qualche moneta a chi chiede l’elemosina fuori dalla parrocchia. Le lascia anche ai ragazzi rom, ma con grande difficoltà. Non le piacciono quei tipi. Non le piace come si vestono, come sono trasandati, il loro odore pungente, la loro pelle raggrinzita dal tempo e sudicia. Non piacciono nemmeno a sua madre, che di anni ne ha 90. Chi può garantire loro che quegli stessi ragazzi un giorno non violeranno la loro intimità, il loro senso di sicurezza, rubando, rapendo, stuprando? In fondo sono pur sempre zingari e gli zingari sono così per natura.
La storia di Maria è un caso esemplare di come un’esperienza traumatica possa trasformarsi in un pregiudizio nel corso del tempo. Maria non aveva nessun elemento per sapere con certezza che i ladri che le sono entrati in casa fossero rom, così come non ha nessun elemento concreto per verificare che i ragazzi a cui fa l’elemosina compiano atti criminali. Il pregiudizio, d’altronde, come dice la parola stessa, si sviluppa prima dell’incontro con la realtà. E’ un vissuto di anticipazione che permette di dare un senso emozionato a ciò che è ambiguo, classificando immagini discontinue in categorie fisse e permettendo una prima elaborazione, molto primitiva, dell’esperienza traumatica.
Fra la paura generalizzata che chiunque possa traumatizzarti (esperienza intollerabile dal punto di vista psichico) e la difficoltà a riconoscere con sufficiente anticipo la specifica persona che potrebbe farlo, c’è una strategia mentale che trova un compromesso: la diffidenza è proiettata su un gruppo di persone che condivide specifiche caratteristiche.
Sigmund Freud, nel suo lavoro sui sogni, identificò 5 principi del funzionamento inconscio che opera nell’esperienza onirica. Questi 5 principi si adattano bene a comprendere anche il vissuto del pregiudizio.
A differenza della logica conscia e razionale della mente, che distingue gli elementi della realtà riconoscendo differenze, contraddizioni, alterità e contesti, la logica inconscia della mente unifica, riassume, condensa in un tutt’uno indefinito.
I primi due principi che Freud identificò sono quelli della condensazione e dello spostamento, che sono paralleli e inversi. Il processo di condensazione porta a riunire in un’unica categoria emozioni e immagini legate ad esperienze diverse. Nell’esempio di Maria, l’uomo con il sacco e la porta di casa divelta si riuniscono in un’unica immagine, quella dello zingaro che mette a repentaglio il senso di sicurezza. Il processo di spostamento, invece, comporta la proiezione di emozioni e contenuti psichici da un’immagine all’altra. Nel caso di Maria, il terrore provato davanti all’uomo con il sacco che l’avrebbe rapita è spostato sull’immagine della porta divelta. Anche se in quel momento non c’era nessuno in casa (il furto era già avvenuto) e la sua sicurezza non era direttamente messa a repentaglio, Maria rivive le stesse sensazioni traumatiche e le generalizza. Come a 6 anni era uno zingaro ad averla insidiata, anche questa volta dev’essere stato un gruppo di zingari.
Altri due principi della logica inconscia sono l’assenza di tempo e l’assenza di contraddizioni, che operano un livello di generalizzazione ancora più ampio. Per l’inconscio non esiste uno svolgimento lineare del tempo, esiste un unico eterno presente, che è dato dall’intensità emozionale. Per Maria, le esperienze traumatiche da bambina e da adulta sono indistinguibili. Non c’è differenza fra passato e presente, tantomeno può esistere il futuro. In quel momento sono sullo stesso piano temporale.
L’assenza di contraddizioni, invece, esclude dalla coscienza qualsiasi dato che possa mettere in discussione l’emozione vissuta. Il ragazzo rom che chiede l’elemosina di fatto non ha nessun atteggiamento pericoloso. E’ però rom, dunque, per la logica inconscia, deve necessariamente rientrare nella categoria di quelli che commettono atti criminali. Questa assenza di contraddizioni è la stessa che sostiene il pregiudizio verso la popolazione rom all’interno del senso comune. Il fatto che il 95% della popolazione rom italiana abbia la cittadinanza, lavori, paghi le tasse e non commetta atti criminali è esclusa dalla coscienza e nell’immaginario i rom sono coloro che vivono di furti per vivere e che abitano nei campi.
L’ultimo principio freudiano è quello che più di tutti produce il pregiudizio, cioè la sostituzione della realtà esterna con l’esperienza interna, attraverso il meccanismo della proiezione. In parole semplici, sono i nostri vissuti emozionali, proiettati sugli elementi reali, che danno origine al pregiudizio. Il rom come criminale non è un dato di fatto. E’ un vissuto con cui anticipiamo il giudizio sulla singola persona che abbiamo davanti. Talvolta basta anche un’associazione labile: l’odore della persona, il modo in cui si veste, oppure anche il semplice fatto che sia di origine rom. Il vissuto di diffidenza e paura ormai ha preso il sopravvento e quella persona - anche se non ha commesso mai un reato in vita sua, anche se lavora nel tuo stesso ufficio - è ormai etichettata. Il pregiudizio è in sintesi l’opposto della conoscenza. Previene qualsiasi forma di incontro con la diversità dell’altro per ricondurlo alle nostre emozioni. In fondo, la diversità dell’altro è complessa, le nostre emozioni, invece, sono note. Essere in grado di differenziare richiedere una competenza a pensare caso per caso, contesto per contesto. Il pregiudizio ci risparmia questa fondamentale fatica.