Cose assurde

Cose assurde

È assurdo!

Così Mara ha definito lo iato tra gli sforzi per raggiungere un obiettivo e i risultati ottenuti. Si raccontava preda di un’emozionalità fatta dall’insieme di scandalo, indignazione, rabbia, ingiustizia, affaticamento, e così potremmo continuare a lungo. Mara è affaticata dalla cronicità di alcuni sintomi fisici che le impediscono di viaggiare come vorrebbe. Ciclicamente e sfacciatamente il dolore si ripresenta, come a voler demolire giorno dopo giorno le fantasie di guarigione che certe patologie obbligano a riconsiderare, in virtù di una più faticosa convivenza con i sintomi.

L’assurdità è un’emozione. 

Treccani indica assurdo come ciò che è contrario alla ragione, all’evidenza; ciò che è -in sé - una contraddizione. Questa definizione è preziosa per molte ragioni. “In sé” come formula non lascia scampo alla soggettività. Ciò che sento come assurdo, lo è: in sé, non in me. 

Stando a questa definizione, assurdo è anche ciò che affonda la propria legittimità nella ragione. Di quale ragione si parla? Si parla di ragione classica basata sulla logica aristotelica e sull’opposizione binaria di vero e falso. Questa ragione – questa logica - è a fondamento del pensiero scientifico, del contatto con la realtà e del dominio scientifico-tecnico della natura.

Qui la linearità del pensiero razionale, della consequenzialità tra causa ed effetto, è fondamentale:

“Se mi curo come suggerito dai medici, perché non guarisco? È assurdo!”, ma anche “Se sono gentile con te, mi aspetto che tu lo sia con me”, “Ho fatto tutto quello che voleva ma non mi ha dato retta!”. L’assurdità come emozione è molto presente nelle nostre vite ed origina dall’esperienza di una contraddizione e dal fallimento delle proprie pretese.

Durante una psicoterapia si può sviluppare una certa passione per le contraddizioni. Queste, lontane dal giudizio razionale, sono opportunità di pensiero. La logica aristotelica le giudicherebbe come errori percettivi, false credenze, bias cognitivi. Un approccio psicoanalitico alle contraddizioni le tratta come espressioni dell’inconscio. Qui serve una precisazione. Nel pensiero di Freud è presente una dicotomia: da una parte l’inconscio dei “contenuti” rimossi, probabilmente la proposta più fortunata e popolare tra i non addetti ai lavori, dall’altra l’ipotesi dell’inconscio come forma di pensiero, “struttura” fondata su regole e relazioni che organizzano e costruiscono i contenuti storicamente determinati.

Lo psicoanalista cileno Matte Blanco, che ripensò la proposta freudiana ricostruendone e sistematizzandone le premesse, arrivò ad affermare:

“Freud non fu il primo a parlare dell’inconscio, su cui molto già si sapeva, ma fu il primo a fare la fondamentale scoperta di questo strano “regno dell’illogico” sottomesso, malgrado il suo essere illogico, a determinate leggi”.

La compresenza delle contraddizioni è una di queste leggi.

Le contraddizioni, in tal senso, non sono il luogo dell’assurdo da correggere, ma il manifestarsi della logica emozionale inconscia da esplorare. Queste possono apparire come stonature, qualcosa che desta la nostra attenzione perché “non ci suona”. Infatti, l’etimologia della parola assurdo è absurdus, composto di ab allontanamento e dalla radice suar di suonare, evoca una dimensione di dissonanza. È assurdo ciò che suona male, una stonatura, un suono lontano dall’armonia musicale. In musica l’armonia è data dalla consonanza di voci o strumenti sovrapposti verticalmente e percepiti come gradevoli. La consonanza e la gradevolezza sono spesso associate anche se la seconda, più della prima, è fortemente organizzata dalla soggettività e dalla cultura. Se fosse sempre sgradevole ciò che non è in armonia, non apprezzeremmo il Jazz e le sue imprevedibili improvvisazioni.

Chi pensa e fa musica dibatte su cosa sia consonante, dissonante e in che rapporto sia con la percezione di gradevolezza. Il musicista Tony Carnevale, che ha lavorato molto su un approccio “non razionale” alla musica, associa a tale sgradevolezza il senso di estraneità, non quello di dissonanza. Anche l’estraneità è un’emozione. Ciò che ci stona, nella musica così come nella vita, è culturalmente ed emozionalmente determinato e per questo mai dato una volta per tutte. Con questa consapevolezza potremmo rapportarci a tutte le assurdità della nostra vita.

Mara ha sentito la sgradevolezza. Anche a lei, come a molti di noi, qualcosa della sua esperienza suonava come estraneo. Di fronte a tale senso di estraneità, ci sono sempre due opzioni: pensare o agire le emozioni rintanandosi nella reattività (arrabbiarsi, indignarsi, lamentarsi…).

Lo sforzo ininterrotto e mai compiuto una volta per tutte di pensare le emozioni rischia di fare vivere la vita come in una jam session: improvvisando insieme e divertendoci un po

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