Perché è più facile per noi credere alle superstizioni

Perché è più facile per noi credere alle superstizioni

Siamo agli inizi degli anni ‘80 e a Beirut imperversano gli attentati. Le bombe distruggono interi quartieri e per strada le stragi sono all’ordine del giorno.
Ara ha poco più di 10 anni ed osserva le strade della sua città coperte dal sangue dei propri concittadini. Non riesce a capire. Padri di famiglia che aveva conosciuto in panetteria, che gli parlavano con gentilezza, ora si sono trasformati in assassini al servizio della guerra.
Ara si chiede come sia possibile uccidersi l’un l’altro in nome di un Dio che non possiamo nemmeno vedere.

La stessa domanda, più di un secolo prima, deve essersela posta anche Charles Darwin. Il padre della biologia evoluzionistica, mentre sta completando la sesta e ultima edizione de L’origine delle specie, sa che il principale avversario nella comprensione delle sue scoperte è un avversario troppo potente per essere persuaso. Qualcuno di voi starà pensando che tale nemico fosse la Chiesa, ma non è così. Il vero avversario di Darwin era la mente umana. Le sue tesi sono contro-intuitive, per essere comprese richiedono uno sforzo cognitivo ed emozionale molto profondo. Al contrario di quanto sosteneva Darwin, l’idea che la Natura sia finalistica, abbia uno scopo ultimo ed una direzione guidata da una mente sopraffina è molto più semplice da digerire.
Quello che Darwin ancora non sa e che gli scienziati avrebbero scoperto solo secoli dopo, è che il motivo per cui il pensiero tende a leggere gli eventi naturali come se fossero guidati da un demiurgo onnisciente è frutto proprio dell’evoluzione. Il pensiero intuitivo degli esseri umani è portato a pensare che dietro ciò che accade ci sia un’intenzione e tale pensiero si è rivelato avere un successo evolutivo in termini di adattamento.
Questo è il motivo che ha portato Giorgio Vallortigara, neuroscienziato italiano, a dire che “non è Dio ad aver creato l’evoluzione. E’ l’evoluzione che ha creato Dio”.

Per capire cosa intendesse con questa frase, bisogna intanto tornare alle origini. Per prima cosa spostiamoci in laboratorio. Vittorio Girotto è stato uno psicologo e neuroscienziato di fama internazionale ed ha dedicato la sua attività di ricerca a comprendere il pensiero intuitivo dell’essere umano.
Una delle prime evidenze che ha scoperto è che la mente umana è orientata ad un “dualismo intuitivo”. Una delle competenze innate del neonato, ancora prima che intervenga la cultura, è quella di distinguere tra oggetti animati e inanimati e questa competenza ha una funzione adattativa essenziale, come vedremo fra poco. Tuttavia, c’è una seconda tendenza istintiva del neonato, quella che Vallortigara definisce iper-attribuzione di intenzionalità. Pur avendo un cervello capace di distinguere fra ciò che è vivo e ciò che è inanimato, un neonato a cui vengono presentate delle palline in movimento è portato a pensare che tali palline siano dotate di intenzionalità, cioè sono vive, hanno una qualità animale. Solo dopo diverse interazioni con le palline, il neonato “scopre” che sono oggetti inanimati, con grande stupore. Per risolvere il dilemma su come agire in situazioni ambigue, la nostra mente si è modellata durante l’evoluzione per attribuire intenzioni e vita anche a ciò che è inanimato.

Ora spostiamoci ad origini molto più remote. Un gruppo di Homo Sapiens si sta addentrando in una foresta e vede un ramo spezzato in due davanti a sé. Come troppo spesso ci si dimentica, l’Homo Sapiens si è evoluto come preda e non come predatore. Gran parte della storia della nostra specie si è fondata sul trovare soluzioni per sopravvivere ai predatori. Soltanto molto più tardi nella nostra storia abbiamo ribaltato la situazione ed abbiamo appreso a cacciare. Questo aspetto è essenziale per capire come funziona la nostra mente arcaica. L’essere umano, in prima battuta, pensa come preda, cioè il nostro cervello si è evoluto per essere incredibilmente sensibile a identificare e rispondere a minacce esterne.
Torniamo a quel ramo spezzato. Nel 99% dei casi, è probabile che quel ramo si sia spezzato per motivi meccanici: il vento ha spezzato il ramo, che è caduto e si è rotto in due. Per quel gruppo di Homo Sapiens, però, questa spiegazione non è utile. Il primo istinto è pensare che quel ramo sia stato spezzato dalla zampa di un grande predatore, che ora è nascosto dietro un masso nei dintorni. In altre parole, il cervello di quei primi Homo Sapiens attribuisce un'intenzionalità a ciò che vedono: è stato un enorme felino a rompere il ramo. Questo pensiero intuitivo ha uno scopo importante in termini evolutivi. E’ preferibile pensare che ci sia un predatore da cui difendersi, anche se l’evento ha una probabilità di verificarsi molto bassa, fosse anche solo dell’1%.

Questa iper-attribuzione di intenzionalità nel corso dell’evoluzione è stata cooptata per produrre sistemi di credenze più ampie, che non erano necessariamente religiose, almeno non all’origine. E’ ciò che oggi chiamiamo animismo, l’idea che gli elementi naturali inanimati siano dotati di intenzioni, volontà, pensiero e potere trasformativo. Tali sistemi di credenze avevano, dunque, una funzione evolutiva molto importante, perché permetteva agli esseri umani di interpretare la natura - anche i suoi elementi inanimati - come se fossero orientati ad avere uno scopo e che comprendendo le sue finalità si sarebbe potuto controllarne i processi, addomesticarne i prodotti, anticipare i pericoli.
Lo stesso pensiero è quello che ci porta a credere alla superstizione, dandoci l’impressione di poter controllare eventi totalmente dovuti al caso: un corno rosso può portarci fortuna, un certo rituale ripetuto ci permetterà di vincere alla lotteria. 

Ara adesso è un adulto. Ha lasciato il Libano da anni per trasferirsi in Canada, con un obiettivo preciso, quasi un’ossessione, capire quali processi mentali ci portano a credere alla religione. Per questo è diventato uno psicologo cognitivo e sociale di fama internazionale. Non è più Ara, il bambino sgomento di fronte alle bombe, è il prof. Norenzayan e lavora alla University of British Columbia.
Nel suo libro più famoso, Grandi Dei (pubblicato in Italia da Raffaele Cortina), ha provato a comprendere come l’iper-attribuzione di intenzionalità nel corso dell’evoluzione umana si sia trasformata in sistemi di credenze complesse, che sono alla base delle religioni. Per far ciò ha fatto riferimento alla Teoria della selezione culturale di gruppo. Nella storia evolutiva umana, come sappiamo, l'origine della cultura ha dato un grande vantaggio per la sopravvivenza all’essere umano.
Tale vantaggio si fondava su elementi sociali, che caratterizzavano gruppi di individui ristretti, legati da rapporti di parentela. La cooperazione permetteva al gruppo di difendersi meglio sia dalle insidie dei predatori, sia dagli altri gruppi con cui entrava in competizione per le risorse. I gruppi più coesi sopravvivevano meglio e più a lungo ed avevano maggiori possibilità di trasmettere i propri geni. Nella storia dell’evoluzione dell’uomo, c’è stato uno switch: una variabile culturale è diventata di per sé elemento di successo nella selezione naturale.
Mano a mano che la popolazione degli esseri umani cresceva, però, il sistema diveniva più complesso ed i rapporti di parentela erano sempre più diradati. La domanda che si è posto Norenzayan è stata: cosa ha permesso a gruppi estesi di sopravvivere meglio, nel momento in cui da piccoli nuclei familiari si passava a comunità non più legate fra loro da legami di sangue? Secondo Norenzayan è in questo momento che l’iper-attribuzione di intenzionalità, strutturata ad un livello più alto in sistemi di credenza condivisi, si trasforma in sistemi religiosi. L’idea che tutti gli elementi naturali fossero dotati di intenzionalità è stata traslata nella credenza che esistesse un ente ancora più astratto, in grado di sorvegliare sul comportamento umano. Questa vigilanza sovrannaturale portava con sé una serie di vantaggi di gruppo: rendeva la comunità più coesa, più coerente al suo interno e dunque più collaborativa, ma anche più competitiva nella lotta con gli altri gruppi. La credenza che vi fosse un Dio rappresentava dunque una variabile evolutiva fondamentale per la sopravvivenza e per la selezione dei gruppi.

 Oggi viviamo in una società laica e dal pensiero religioso, in parte della società, si è passati ad un pensiero etico. Sarebbe l’etica a guidare la cooperazione ed il rispetto delle regole sociali. Tuttavia, i retaggi di quel pensiero intuitivo, anche quando non si esprime secondo una prospettiva religiosa, ancora sono visibili. Vi propongo due esempi. 

Il primo riguarda un esperimento geniale che fece proprio il prof. Norenzayan nella sua università. A differenza dell’Italia, in alcuni posti del Canada le macchine di distribuzione automatica del caffè non prevedono l’inserimento di denaro prima dell’erogazione della bevanda, ma il contrario. Prima viene erogata la bevanda e solo dopo la persona inserisce il denaro. Lo fa liberamente, può anche scegliere di non farlo. L’idea di base è che l’uomo sia collaborativo in modo innato e dunque la percentuale di chi sceglierà di non pagare sarà bassa.

Norenzayan mise una di queste macchine del caffè nel campus universitario dove lavorava e vi applicò un poster neutro, nel quale era rappresentata una spiaggia caraibica. Il 25% degli studenti prese il caffè senza pagare, agendo da free riderQuello del free rider è un concetto socio-economico, rappresenta coloro che non contribuiscono all’economia, pur beneficiando della ricchezza generata da chi invece rispetta le regole. L’esempio più lampante è quello dell’evasore fiscale: non paga le tasse, ma beneficia dei servizi sanitari o educativi pagati con le tasse degli altri.

Norenzayan fece poi una seconda prova. Stavolta sulla macchina del caffè mise un poster che rappresentava un occhio che guardava gli studenti. Era solo un poster, non c’erano telecamere, la macchina del caffè era la stessa. Il numero di free rider però si ridusse al 3%. Che cosa era avvenuto? Secondo il ricercatore libanese, è intervenuto quel pensiero intuitivo alla base della credenza che esistano i Grandi Dei. La sola esposizione all’immagine di un occhio che ti guarda stimola l’iper-attribuzione di intenzioni ad un oggetto inanimato (il poster). Per associazione, gli studenti si sono sentiti osservati da qualcuno: che fosse Dio, o semplicemente gli altri colleghi, non ha importanza. Il processo intuitivo ha modificato il comportamento.

Il secondo esempio è molto più vicino a noi. Ricordate quanto sia stato difficile per alcune persone accettare che la pandemia fosse dovuta a motivi imprevedibili e secondo processi biologici? Era molto più semplice credere che dietro la diffusione del virus ci fosse un’intenzionalità. Un gruppo di potere invisibile in grado di controllare, direzionare e diffondere il virus. Alla base del pensiero complottista c’è quel rametto spezzato in mezzo alla foresta visto dai primi Homo Sapiens. L’idea che dietro vi sia un direttore intenzionale dei processi naturali è molto più semplice da pensare per l’essere umano. Ora sappiamo che ciò non è semplice frutto di ignoranza o paranoia. Alla base c’è una funzione adattativa che ci ha resi quello che siamo. 

PrecedenteIl padrone nella testa
SuccessivoRicchi, poveri e morti di fame