Cosa c’entra

Cosa c’entra

Cosa c’entra l’autenticità con la voglia di mollare tutto, le zitelle con i bravi genitori, il “non poterselo permettere” con l’amore? Questi sono alcuni dei temi trattati nelle prime pubblicazioni degli articoli per la rubrica Melasegno. In questa fase di riapertura della stagione di scrittura ho sentito l’esigenza di fare un passo indietro (o al lato) dei discorsi condivisi fino ad oggi. Come se, in un dialogo immaginario con il lettore, ci chiedessimo: “Cosa stiamo dicendo attraverso le cose che stiamo dicendo?”. In effetti, questo procedere ondivago del discorso, questo saltellare da un piano di realtà ad uno simbolico è una specificità del lavoro analitico che in alcuni casi disorienta, in altri diverte, in entrambi scompagina la logica usuale razionale con cui si pensa a sé nel mondo. Avevamo presentato questi scritti come discorsi sui miti della contemporaneità senza specificare cosa intendessimo. Ora che abbiamo fatto un giro dentro alcuni di questi miti, facciamone uno dentro le categorie con cui abbiamo costruito il discorso intorno ad essi.

Dicevamo, miti della contemporaneità.

Qui ci sono due cose distinte: il mito e la contemporaneità. 

Storia e letteratura sono costruite attorno ai miti. Da Treccani prendiamo questa definizione: “dal greco mỳthos ("parola, racconto"), una narrazione di particolari gesta compiute da dei, semidei, eroi e mostri. Il mito può offrire una spiegazione di fenomeni naturali e, più genericamente, rispondere alle grandi domande che gli uomini si pongono. (…) Raccontando le origini del mondo, essi non intendono offrirne una spiegazione causale, bensì legittimarle e sanzionarle”.

I miti costruiscono e organizzano il vissuto di comunità, definiscono aree del sapere e di convivenza. In una parola, costruiscono appartenenze. Si pensi ai miti nati per spiegare i fenomeni naturali sentiti come “misteriosi” (il tuono, la pioggia, etc). La stessa parola mistero è interessante: il suo rimandare al verbo muo – voce onomatopeica che indica le labbra serrate - allude ad una dinamica di differenziazione tra chi sa ma non parla e chi non sa.

Dunque, i miti sono storie che, nello spiegare o inventare narrazioni sull’origine dei fenomeni, costruiscono appartenenze, quel sentimento dell’essere simili a qualcuno e differenti da qualcun altro. 

Il semiologo francese Roland Barthes nel 1957 pubblica Mythologies (in Italia Miti d’oggi) con il quale ci porta attraverso i miti della società del tempo. Con questo contributo Barthes ci racconta come qualunque aspetto della realtà può passare da un’esistenza chiusa e muta, qualcosa che non dice nulla oltre la concretezza della realtà, ad un’esistenza aperta con una valenza comunicativa che non indica solo la realtà ma anche altro. Un esempio su tutti: sin dalle origini le industrie dei detersivi hanno scelto il bianco come colore delle proprie campagne pubblicitarie evocando non solo il pulito, ma anche il candore, la purezza, l’assenza di colpa. 

Il mito non è solo una narrazione razionale, è anche e soprattutto espressione di una rappresentazione della realtà che di razionale ha ben poco. Per chi scrive, questo rende interessante parlarne: si può pensare il lavoro psicologico e analitico come al contempo decostruzione e costruzione di miti. Si tratta della componente emozionale delle nostre relazioni sociali che molto incide nella nostra vita quotidiana. Fornari, psicoanalista vissuto fino agli anni ’80, parla delle emozioni come modo di rappresentare la realtà, categorizzarla: tali rappresentazioni non seguono l’usuale logica operativo-formale della razionalità ma una modalità chiamata simbolizzazione affettiva che segue altre regole, quelle, per intenderci, che organizzano l’esperienza che facciamo dei sogni per cui si è al contempo in un luogo e in un altro, in un tempo e in un altro. Abbiamo visto che sentirsi zitella, bravo genitore, autentico, povero, innamorato, traumatizzato, timido possa orientare la propria vita nelle direzioni più disparate. Questi miti sono l’epifenomeno delle nostre rappresentazioni della realtà, non sono la realtà.

Abbiamo collocato questi miti nella contemporaneità considerandola concretamente come segmento di tempo nella realtà. E se la trattassimo come mito?

Chi ha una formazione storica più di me sa come nominare un certo periodo storico vuol dire farlo esistere, inventarlo in una certa misura. Quando diciamo contemporaneità, facciamo riferimento ad una specifica periodizzazione, indichiamo ciò che viene dopo la Modernità (altra categoria che non è data in natura ma costruita da noi per capire le cose del mondo). 

Se si pensa associativamente ad una cifra della contemporaneità, viene in mente un mondo liquido – per dirla con Bauman – o fluido - per dirla con la comunità queer. Frammentazione ed indeterminatezza, pluralità e valorizzazione delle dimensioni locali. Ciò che chiamiamo contemporaneità sembra assumere il valore della crisi della modernità e del suo superamento. Si parla di Postmodernità quando si fa riferimento alla profonda sfiducia nei linguaggi universali e totalizzanti che avevano caratterizzato l’epoca precedente. Le chiamano Grandi Narrazioni: illuminismo, idealismo e marxismo ne sono un esempio. In generale, ciò che veniva reputato valido era l’idea che fosse necessaria un’autorità concettuale e ideologica che funzionasse da istanza regolatrice delle pluralità che, altrimenti, si sarebbero lasciate prendere dalle avidità e dagli individualismi. Queste metanarrazioni forti e autorevoli sembrano essere entrate in crisi e con esse il principio di autorità regolatrice.

Gli articoli precedenti, così come quelli futuri, hanno raccontato qualcosa circa il modo in cui la società ha rappresentato emozionalmente lo iato tra la pluralità delle esperienze sociali e la rigidità dei confini dei miti passati oggi entrati in crisi: le donne che non seguono il destino del matrimonio sono zitelle, la crisi del posto fisso e la fantasia di “mollare tutto”, il cambiamento dei modelli educativi fondati sull’autorità e la ricerca di altri assetti, le relazioni amorose, la fine del “per sempre” e la crisi della pretesa esclusività monogama, la povertà tra crisi economica e creativa. Ci muoveremo in questo perimetro, tra il non più ed il non ancora, consapevoli che la crisi delle metanarrazioni è essa stessa una metanarrazione.

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