depressione
Ci siamo adattati
Che rapporto psicologico c’è tra l’effetto Zelig e la rana bollita di Chomsky?
Continua a leggereHome alone
Abbiamo costruito case lontano da casa, ma è lì che vogliamo tornare a natale
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Continua a leggereUscire dalla trappola del senso di colpa
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Continua a leggereIl corpo che manca
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Continua a leggereSiamo ancora capaci di differenziare le emozioni?
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Continua a leggereQuando il dolore emotivo è nel corpo
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Continua a leggereRabbia e frustrazione. Sfogarsi non è la risposta migliore
Il detto che, se si è arrabbiati, è meglio sfogarsi, è discutibile: può esasperare ancora di più il legame con l’oggetto della rabbia e della frustrazione
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“Mia madre è rimasta sola dieci anni fa, mio fratello si è trasferito a Napoli, loro comunque riescono a vedersi piuttosto spesso. Mia madre per telefono mi racconta la vita di giù, personaggi e situazioni che conosco molto bene, e ogni volta mi ripeto che sono così contenta di avere avuto un’occasione diversa. Però quest’anno è stato durissimo, loro preoccupati per me, io preoccupata per la solitudine di mia madre, e l’idea di non poter scendere a natale, che ormai è quasi l’unica occasione per vederci, mi ha fatto venire una grande nostalgia. Il natale è una festa di famiglia, non possiamo farci niente, anche se le nostre vite sono cambiate, anche se io personalmente non sono stata mai troppo religiosa e i riti intorno al natale mi hanno sempre creato insofferenza, il natale è quello che si fa a Castellammare con i parenti, con la tavola apparecchiata in quel modo, con il presepe, gli struffoli e la tombola, insomma tutto l’apparato al completo. L’idea di passare le festività natalizie qui a Milano, lontano dalla mia famiglia mi fa rimpiangere tutto. Mi fa sentire senza radici.”
Di situazioni come quella di Sara ce ne sono una moltitudine in Italia: chi diventa fuorisede per motivi di studio, chi si allontana per lavorare. È un segno dei tempi, senz’altro, in cui la possibilità di costruire un’identità adulta fuori dal nucleo affettivo originario è uno dei segnali della configurazione dei mutati assetti della società. Forse è perché gli italiani, in generale, ci sono arrivati più tardi di altri, forse è quella che si direbbe una questione di mentalità, forse è una posizione specifica della nostra psiche collettiva, ma i legami affettivi con i nuclei originari sono una caratteristica molto forte della nostra cultura: legami con la famiglia, con i territori, con le abitudini e le tradizioni.
Sul piano psicologico stiamo parlando delle dinamiche del riconoscimento, dell’appartenenza e del senso di sicurezza. Stiamo parlando della relazione con un aspetto della Grande Madre, come direbbe lo psicanalista Carl Gustav Jung, con il profondo e spesso ambivalente rapporto con la propria matrice originaria. Costruire un’identità lontano dal proprio nucleo di partenza è un processo molto articolato che passa attraverso un continuo dialogo interno tra quello che ci appartiene per imprinting originario e quello che possiamo determinare con le nostre scelte. In Italia, gli assetti psicologici e relazionali legati al nucleo familiare primario sono molto persistenti.
Talmente persistenti che anche solo l’allontanarsene può innescare un lungo lavoro di confrontazione con sentimenti difficili, come il senso di colpa, lo spaesamento, l’attivazione di nuclei abbandonici. Ma anche quando la separazione avviene senza ombre ed è ben sostenuta dalle risorse dell’Io, a volte il richiamo ai luoghi e agli affetti delle origini si fa forte. Per esempio a natale, che è il momento del rito collettivo della riunificazione del nucleo originario, del ricongiungimento con gli affetti, con le proprie radici.
“Ancora adesso quando dico casa, intendo Castellammare. Me lo ha fatto notare una mia collega. E’ una cosa inconscia, lo dico senza neanche farci caso, non c’entra niente con la vita che faccio qui, con la famiglia che ho costruito. L’ho detto, davvero non tornerei mai a vivere giù. Però, insomma, a natale sì.”
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