La depressione si colloca tra i problemi di salute pubblica con più peso al mondo. Come disturbo mentale più diffuso, non solo provoca condizioni di disagio ricorrenti e molto severe per chi ne soffre, ma ha anche tali costi sul piano economico che l'Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha recentemente considerata come il principale onere globale per le nazioni industrializzate.
I dati epidemiologici ci dicono che i disturbi dell’umore, depressione in testa, hanno tassi in aumento anche nella popolazione degli adolescenti.
Al di là della categorizzazione clinica, l’aumento del disagio giovanile è tema urgente per la salute collettiva. Aumentano i riscontri sulla pratica dell’hikikomori, comportamento degli adolescenti che decidono di ritirarsi totalmente dalla vita sociale chiudendosi in una stanza, proliferano le ricerche sull’aumento del consumo di alcol anche nei giovanissimi e cresce l’allarme per la correlazione tra uso prolungato del cellulare e aumento degli stati di disagio di natura ansioso-depressiva e dei comportamenti antisociali.
Che l’adolescenza si associ a fenomeni critici è in parte nella natura stessa del periodo, che porta scompiglio e rivoluzione ad ogni livello: biologico, esistenziale, relazionale. Ma questi fenomeni cosa ci raccontano?
Il rischio di cadere nella retorica parlando dei giovanissimi è molto alto: la scena prende contorni seppia e si inizia a rimpiangere i ragazzi di ieri, che passavano il tempo sul muretto o giocando in cortile invece che ricurvi su uno smartphone.
Proviamo allora a mantenere uno sguardo sufficientemente ampio e a riflettere sui modi in cui i cambiamenti degli ultimi anni possano avere impattato sulla psicologia degli adolescenti.
Una parola chiave in questa riflessione è: accelerazione. Sono accelerati i ritmi di vita, accelerati i ritmi produttivi, accelerati i tempi di ricambio delle informazioni. E’ tutto talmente veloce che spesso gli stimoli ai quali siamo sottoposti non sono consequenziali ma simultanei. Bisogna allenare la capacità di essere multitasking, di trovare spazio sufficiente per sostenere una moltitudine di finestre aperte, anche quando queste finestre hanno temperature emotive molto diverse l’una dall’altra. Leggiamo al contempo di una bomba che esplode su un ponte e di quanto ci fa risparmiare la nuova offerta della adsl del nostro gestore telefonico.
I giovanissimi sono abituati alla velocità, ce ne accorgiamo in un attimo quando li vediamo smanettare davanti a una tastiera. La velocità, la richiesta di semplificazione e di sintesi, ci costringono fatalmente a orientarci sul risultato e allora rischiamo di perdere la ricchezza del viaggio. Qualche giorno fa un tredicenne mi ha chiesto perché avrebbe dovuto leggere un libro che gli avevano regalato, visto che sbirciando le ultime pagine aveva già capito come andava a finire.
Smarcandoci velocemente dalla seduzione del giudizio morale, possiamo commentare i risultati di una recente ricerca condotta dalla dott.ssa Lisa Starr dell'Università di Rochester, da cui risulta che gli adolescenti che hanno una ridotta capacità di differenziare le emozioni (negative, nel caso dello studio specifico, ma potremmo allargare la riflessione tenendo dentro anche quelle positive) sono più a rischio di sviluppare una depressione in età adulta in relazione ad eventi stressanti. “Alessitimia”, si chiama l’incapacità di nominare le emozioni. E non è solo una questione di linguaggio, perché il linguaggio segue e si adatta a qualcosa che si sperimenta. Dire genericamente “sto male” è diverso dal poter dire: sono frustrato, sono annoiato, sono rabbioso, sono ferito, sono deluso. In più, la prescrizione social a mostrare costantemente una faccia sorridente e la scenografia di una vita allegra, rendono ancora più complesso il processo di gestione degli stati emotivi, soprattutto quelli su cui si suppone non ci sia approvazione sociale.
Le emozioni, però, sono alla base della capacità di fornire valutazioni morali e cognitive, di apprendere, di sviluppare strategie di fronteggiamento e di direzionare i comportamenti e le azioni.
Avere una bassa capacità di differenziare le emozioni può contribuire a esporre i ragazzi alla difficoltà di traduzione di senso di una realtà ipercomplessa e ipersatura di stimoli.
D’altra parte, se stiamo imparando che i testi che funzionano in rete devono essere scritti con frasi brevi e senza aggettivi, dove andare a esercitarsi? E come si allena la capacità di differenziare le emozioni? La prima fonte di approvvigionamento sono le relazioni con gli altri, che stimolano i processi di identificazione empatica e di confronto. E poi ci sono l'educazione e la formazione, che sostengono i processi di elaborazione critica, di connessione e di interpretazione delle informazioni.
In un mondo troppo veloce l’affettività fragile di individui in trasformazione richiede di rallentare almeno un pò, sopportando lo spazio vuoto di cui la riflessione e il sentire hanno bisogno.