L’anziana signora

L’anziana signora

In Italia la percentuale delle persone over 65 è del 23%, mentre le persone under 20 sono il 17,3%.  Si parla di invecchiamento della popolazione. Eppure, la “popolazione” delle persone che frequentano il mio studio professionale non rispecchia questa proporzione: sono quasi interamente al di sotto dei 65 anni, età convenzionalmente attribuita al passaggio all’età anziana. Questa mancata corrispondenza si incontra anche nello studio professionale di altri colleghi e – azzardo – può essere utile trattarla come dato da interpretare.

Come mai le persone con un’età avanzata fanno meno frequentemente domanda di psicoterapia? Come mai, se arrivano a formulare una domanda, il più delle volte questa si configura come necessità e non come scelta? Sintomi fisici e/o psicologici non adeguatamente trattabili attraverso l’intervento medico che invalidano lo svolgersi delle attività quotidiane: spesso si presentano con questa concretezza in dote.

Mi è rimasto impresso il lavoro con Olga, una donna di 68 anni. Era stata da poco sottoposta ad un intervento di chirurgia bariatrica raccontato dai sanitari - e da Olga stessa - come necessario. Le indicavano una psicoterapia per “affrontare il post intervento e la fatica delle restrizioni alimentari ad esso connesse”. I sanitari mi presentano questa donna come “vulnerabile in quanto anziana signora” nell’ipotesi che questo bastasse a farmi capire e a me, in effetti, parve di capire.

Questo è uno di quegli invii difficili da ricevere e che è particolarmente importante non prendere alla lettera (al dire il vero, come tutti). L’invio, in psicologese ma anche nel dizionario italiano, è il fatto di inviare un paziente, troppo spesso trattato come fatto e in tal senso non oggetto di interpretazione, quindi pensiero. Già mi immaginavo, preda del daimon del coaching motivazionale, indicare ad Olga la retta via della Forza di Volontà (con le maiuscole, come tutto quello che ignori perché perso negli assoluti del senso comune), aiutarla a sostenere la fatica della restrizione, con buona pace del desiderio e della soggettività. Indicare una psicoterapia vuol dire prescrivere e prescrivere una psicoterapia è un paradosso. La psicoterapia non si assume come una pillola, non si somministra come una medicina. La psicoterapia ha la relazione come oggetto e strumento di intervento e non solo come tramite, come molti altri mestieri.

Ageismo…

Ma chi è l’anziana signora? Sono convinta che ognuno di noi potrebbe accedere ad un immaginario di anziana signora e ipotizzo ampie aree di intersezione fatte di stereotipi, miti e prescrizioni emozionali. 

L’invecchiamento è definito quasi esclusivamente dal suo ancoraggio alla biologia. L’individuo nasce, cresce, decresce e muore. Il criterio anagrafico diventa il discrimine convenzionale (in genere i 65 anni). In quest’ottica, l’anziano è la parte improduttiva della società, bisognosa e dipendente ed è proprio questo paradigma a fondamento delle culture ageiste. La parola ageismo è stata coniata da R.N. Butler, gerontologo statunitense, per indicare le discriminazioni e la svalutazione nei confronti dei più anziani. Si pensi alle battute nei confronti degli anziani alla guida, i limiti di età imposti alle assunzioni nelle aziende, le truffe sistematiche o i maltrattamenti ad essi rivolti. Pensiamo ad “Ok Boomer[1]”, affermazione diffusa tra i non-anziani per zittire o ridicolizzare opinioni percepite come lamentele conservatrici e paternalistiche della generazione dei cinquanta-sessanta-settantenni.

C’è da dire che Olga è un’anziana signora – così la presentano -, non un anziano signore. Anche questo fa differenza. Olga è sul crocevia di due processi di marginalizzazione, quello ageista e quello di genere, a dimostrazione del fatto che le minoranze non sono la parte della popolazione meno numerosa, come alle volte erroneamente si crede, ma quella con minore potere sociale.

…e psicologia

Cosa c’entra tutto questo con la psicologia?

L’ageismo e l’ageismo di genere sono culture, e le professioni - le teorie e le prassi - sono dentro le culture. Se le professioni non si attrezzano per pensare le proprie culture di appartenenza, possono anche riprodurre pratiche discriminanti ed è quello che è successo nel tempo anche alla psicologia.

Gli interventi psicologici rivolti alla popolazione anziana sono spesso orientati al rallentamento del decadimento delle funzioni cognitive, ove presente, o alla ristrutturazione comportamentale intorno ad un sintomo vissuto come invalidante. Decisamente più infrequente un intervento che concerne i vissuti.

La psicoanalista RM Paniccia, in un contributo dal titolo Chi è l’anziano?  Alcune ipotesi per l’intervento pubblicato su Quaderni di Psicologia Clinica, pone la differenza tra l’anziano pensato dalla biologia e l’anziano come ruolo sociale, espressione di una cultura e di specifiche prescrizioni emozionali connesse al ruolo. I due anziani non coincidono. Si può essere biologicamente anziani ma non emozionalmente, e viceversa. Paniccia parla più chiaramente di ageismo della psicologia, così come della psicoanalisi:

“La psicoanalisi si è tenuta lontana dalla vecchiaia: sembrerebbe che l’età avanzata contragga lo spazio del simbolico, che l’importanza dei vissuti si riduca, e ci si senta confrontati con fatti che acquisiscono “finalmente” il peso di limiti indiscutibili, rispetto al quale ci si sente impotenti. Ma l’anziano continua ad avere una vita emozionale, quale che sia la sua condizione biologica e/o cognitiva e l’inconscio non conosce il tempo”.

Torniamo ad Olga e al nostro incontro. Nei primi dieci minuti del colloquio l’anziana signora fa quanto ci si aspetta da lei. Mi racconta di essere vedova e madre di figli grandi, oggi indipendenti e fuori di casa, sola, stanca, annoiata. Poi si ferma, come se avesse concluso. In effetti, in quanto anziana signora non aveva altro da dire. Le faccio allora la stessa domanda di prima ma con un’intenzione comunicativa diversa: “Olga come mai è qui?”. A questo punto l’anziana signora fa un passo indietro e si fa avanti una donna dalla vita interessante e con molte questioni sulle quali poter lavorare insieme.

Olga inizialmente si presenta da dentro quelle prescrizioni all’impotenza, sente di aver perso il potere sociale del suo essere madre, moglie e lavoratrice, sente il deteriorarsi dei suoi legami. Non è impotente, come non lo si è mai, ma si sente tale. Da qui ha potuto accedere ad un mondo di desideri: cercare vecchie conoscenze tramite i social network, mondo dal quale si sentiva esclusa, partecipare a viaggi organizzati, innamorarsi. Delle restrizioni alimentari so meno, ma pare se la sia cavata.


[1] Ok boomer è anche il nome di un’interessante e divertente  rubrica del Post nella quale l’autore, Michele Serra, parla ai lettori del giornale – in media più giovani di lui – in quanto boomer, scrivendo così una pagina preziosa di cultura sul rapporto tra generazioni.

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