Mancano due giorni al Natale del 1990 e a casa Homolka la famiglia è riunita per festeggiare. Papà, mamma e tre splendide figlie, molto simili fra loro: bionde, sorridenti, affettuose. Quell’anno, però, c’è una novità. La sorella maggiore, Karla, 23 anni, ha portato il suo ragazzo alla cena di famiglia, Paul Bernardo, un giovane uomo affascinante e magnetico, molto esuberante, che la famiglia accoglie da subito e che adora. Karla è molto innamorata e Paul fa di tutto per portare un clima di allegria e goliardia in una famiglia benestante e amorevole. Lui è un patito di videocamere, all’epoca molto rare come oggetto di massa. Riprende ogni singolo momento, vuole renderlo eterno, quasi per paura che gli sfugga via.
Paul prepara cocktail e si diverte, indugiando spesso con la camera su Tammy, la sorella minore di Karla, appena quindicenne. Tammy è una ragazza timida, ma molto ironica: alla camera fa smorfie buffe, mentre beve un cocktail dopo l’altro, che i genitori le hanno concesso di consumare senza timori. In fondo sono tutti in casa, l’atmosfera è gioiosa, un paio di cocktail non hanno mai ucciso nessuno.
La festa sta finendo, i genitori e la terza sorella vanno a dormire, ma Karla, Paul e Tammy hanno ancora voglia di fare baldoria. Si spostano nella tavernetta al piano di sotto, mentre Paul continua a riprendere tutto. Karla offre un altro cocktail alla sorellina, Tammy lo assaggia raggiante, ma la testa comincia a farsi pesante. Forse ha bevuto troppo, pensa. Quell’ultimo cocktail le sta facendo uno strano effetto: sente il corpo farsi molle, le mani intorpidite, la testa offuscata. Tammy si addormenta, mentre i volti di Paul e Karla si perdono sullo sfondo, sempre più sbiaditi.
Nel cuore della notte, le urla di Karla e Paul rimbombano per tutta la casa. I genitori si svegliano di soprassalto e corrono a vedere cosa stia accadendo. Tammy si è sentita male, ha vomitato molto. Karla e Paul hanno cercato in tutti i modi di soccorrerla, ma non ce l’hanno fatta. Tammy, infatti, non risponde più. Un tragico incidente sta distruggendo il Natale e la vita degli Homolka: Tammy se n’è andata, è morta per aver bevuto troppo.
Soltanto 5 anni più tardi, in un’aula di tribunale, si scoprirà la verità degli eventi. Una verità oscena, agghiacciante, che va oltre ogni possibile immaginazione.
Paul Bernardo è stato accusato da Karla Homolka di rapimento, stupro e omicidio di due giovani adolescenti della zona, due ragazze che avevano la stessa età di Tammy all’epoca di quel maledetto Natale. Non è finita: Bernardo è lo stupratore di Scarborough, sobborgo di Toronto, che negli anni precedenti era stato devastato dalle violenze di un uomo misterioso, mai identificato prima, che aveva seviziato per strada decine di ragazzine.
Karla Homolka è una donna distrutta e propone alla corte un racconto raccapricciante. Paul la picchiava quotidianamente, la costringeva a rapire le ragazze, con la minaccia di uccidere lei e la sua famiglia. Con la procura si è già accordata in un patteggiamento segreto: 12 anni di carcere per concorso in omicidio, pur di inchiodare il mostro e dargli l’ergastolo.
La difesa di Bernardo, però, ha un asso nella manica sconcertante, anch’esso tenuto segreto per mesi, una prova che spariglia le carte, ma che allo stesso tempo, non essendo stata condivisa in fase di indagine, aveva costretto la polizia a trovare un accordo con la Homolka, l’unica testimone che avrebbe potuto incastrare Bernardo.
Sei videocassette, trovate sotto una plafoniera dell’appartamento in cui Bernardo e la Homolka vivevano. Sei videocassette, il cui nascondiglio era stato rivelato dallo stesso Bernardo.
Sei videocassette talmente ripugnanti, che una delle avvocate della difesa aveva proposto di non proiettare durante il processo, almeno non alla presenza dei parenti delle vittime.
Nelle videocassette emerge un’altra storia. Karla Homolka non è la fragile vittima di un sadico assassino, ne è la complice lucida e depravata.
La Homolka partecipa attivamente alla ricerca delle vittime, ai rapimenti, alle violenze sessuali, alle uccisioni e all’occultamento dei cadaveri.
L’aspetto che, tuttavia, spezza l’anima di tutti i presenti e che definitivamente fa perdere l’innocenza a un’intera nazione - il Canada da sempre rappresentato come luogo sicuro e bonario - è che la prima vittima della coppia che sarà definita “The Barbie and Ken killers” è proprio Tammy, la sorella minore di Karla.
Tammy non svenne a causa dell’alcol, ma dell’alotano, un potentissimo narcotico che Karla aveva rubato dallo studio veterinario in cui lavorava. Fu la stessa Karla a drogare la sorella, per poi permettere a Bernardo di violentarla. La verginità di Tammy era il regalo di Natale di Karla per Paul, un atto d’amore psicotico, trasformato rapidamente in atto di morte.
La storia di Homolka e Bernardo sconvolse non solo il Canada, ma tutto il mondo. Le perizie psichiatriche sui due protagonisti di questo horror non mancarono, ma non è l’aspetto che vogliamo trattare qui.
Dalle testimonianze di chi assistette al processo e visionò le videocassette dal vivo - videocassette che furono poi bruciate, avvenimento molto raro per delle prove processuali, a segnalare quanto fu sconvolgente il loro contenuto - emergono tutti i sintomi del disturbo post-traumatico da stress.
Un perito di parte, psichiatra, ammise che per anni cadde in depressione e pensò più volte al suicidio, a seguito della visione dei video. L’avvocata della difesa non riuscì a liberarsi dai fantasmi del processo per diverso tempo, ossessionata dal ricordo intrusivo di quanto aveva visto e sentito. Una giornalista, che seguì il caso dall’inizio alla fine, decise di non occuparsi mai più in vita sua di cronaca nera.
Queste storie, che ebbero un impatto certamente minore nel racconto complessivo della vicenda, rappresentano molto bene quello che i clinici chiamano trauma vicario.
Quando si parla di trauma, si pensa sempre a eventi subiti direttamente o perpetrati ai danni di qualche persona a noi molto vicina, come un familiare. Difficilmente pensiamo di poter restare seriamente traumatizzati da eventi subiti da persone con cui non abbiamo un legame affettivo molto profondo.
Eppure le storie di molti psicologi ucraini che hanno seguito pazienti devastati dalla guerra, o quelle di persone che hanno assistito a crimini e violenze efferati, raccontano la comparsa di sintomi traumatici molto simili a chi il trauma lo ha vissuto in prima persona: pensieri intrusivi, insonnia, depressione, impossibilità a separarsi e a superare il ricordo traumatico.
La mente umana è empatica e questo è sicuramente un vantaggio, perché permette l’immedesimazione nella vita altrui, la comprensione delle sue emozioni, ma ha anche un risvolto oscuro. Possiamo identificarci sino a perderci, vivendo sulla nostra pelle il trauma di un altro.
Pochi giorni fa è stato l’anniversario della strage della Stazione di Bologna del 1980. Il pensiero va alle vittime e alle loro famiglie, ma anche a coloro che dalla bomba sono scampati fisicamente, ma non mentalmente. Persone che, pur non avendo perso la vita o quella dei loro familiari, erano lì a salvare vite, a vedere le mura crollare, ad ascoltare le urla, i gemiti, il pianto, a guardare i corpi estratti dalle macerie. Tutte persone che portano con sé i segni traumatici della catastrofe, che, se non rielaborati, possono restare per sempre.