Tu chiamala, se vuoi, nostalgia

Tu chiamala, se vuoi, nostalgia

“Non tornare più, non ci pensare mai a noi, non ti voltare, non scrivere. Non ti fare fottere dalla nostalgia, dimenticaci tutti!”, diceva in “Nuovo Cinema Paradiso” il grande Philippe Noiret nelle vesti di Alfredo, per spronare il giovane Salvatore a lasciare la Sicilia e andare a cercare fortuna a Roma.

La nostalgia (parola composta dal greco νόστος, ritorno, e άλγος, dolore; "dolore del ritorno") è un'emozione caratterizzata da un senso di tristezza e rimpianto per la lontananza da persone o luoghi cari o per un evento collocato nel passato che si vorrebbe rivivere.

Di nostalgia ha parlato Milan Kundera, in un bellissimo passo che si trova ne L’ignoranza, di cui citiamo lunghi estratti:

“Per questa nozione fondamentale la maggioranza degli europei può utilizzare una parola di origine greca (nostalgia, nostalgie), poi altre parole che hanno radici nella lingua nazionale: gli spagnolo dicono añoranza, i portoghesi saudade. In ciascuna lingua queste parole hanno una diversa sfumatura semantica. Spesso indicano esclusivamente la tristezza provocata dall’impossibilità di ritornare in patria. Rimpianto della propria terra. Rimpianto del paese natio. Il che, in inglese, si dice homesickness. O in tedesco Heimweh. In olandese: heimwee. Ma è una riduzione spaziale di questa grande nozione. Una delle più antiche lingue europee, l’islandese, distingue i due termini: söknudur: “nostalgia” in senso lato; e heimfra: “rimpianto della propria terra”. Per questa nozione i cechi, accanto alla parola “nostalgia” presa dal greco, hanno un sostantivo tutto loro: stesk, e un verbo tutto loro; la più commovente frase d’amore ceca: stỳskà se mi po tobě: “ho nostalgia di te”; “non posso sopportare il dolore della tua assenza”. In spagnolo, añoranza viene dal verbo añorar (“provare nostalgia”), che viene dal catalano enyorar, a sua volta derivato dal latino ignorare. Alla luce di questa etimologia, la nostalgia appare come la sofferenza dell’ignoranza. Tu sei lontano, e io non so che ne è di te. Il mio paese è lontano e io non so cosa succede laggiù. Alcune lingue hanno qualche difficoltà con la nostalgia: i francesi non possono esprimerla se non con il sostantivo di origine greca e non hanno il verbo relativo; Je m’ennuie de toi (“sento la tua mancanza”), ma il verbo s’ennuyer è debole, freddo, e comunque troppo lieve per un sentimento così grave. I tedeschi utilizzano di rado la parola “nostalgia” nella sua forma greca e preferiscono dire Sehnsucht: “desiderio di ciò che è assente”; ma la Sehnsucht può applicarsi a ciò che è stato come a ciò che non è mai stato (una nuova avventura) e quindi non implica di necessità l’idea di un nòstos; per includere nella Sehnsucht l’ossessione del ritorno occorrerebbe aggiungere un complemento: Sehnsucht nach der Verganghenheit, nach der verlorenen Kindheit, nach der ersten Liebe (“desiderio del passato, dell’infanzia, del primo amore”).

L’Odissea, l’epopea fondatrice della nostalgia, è nata agli albori dell’antica cultura greca. Va sottolineato: Ulisse, il più grande avventuriero di tutti i tempi, è anche il più grande nostalgico. [...]

Ulisse conobbe accanto a Calipso una vera dolce vita, vita di agi, vita di gioie. Eppure, fra la dolce vita in terra straniera e il ritorno periglioso a casa, scelse il ritorno. All’esplorazione appassionata dell’ignoto (l’avventura), preferì l’apoteosi del noto (il ritorno). All’infinito (giacché l’avventura ha la pretesa di non avere mai fine), preferì la fine (giacché il ritorno è la riconciliazione con la finitezza della vita).”

Dal punto di vista psicologico, la nostalgia è un sentimento con una forte caratterizzazione “immaginaria”, nel senso di “legata all’immaginario”. Quando ci facciamo invadere dalla nostalgia, ci collochiamo in uno spazio ideale, dove la memoria oggettiva (facevamo questo e quello) si mescola con il potenziale di un orizzonte spalancato dove la definizione e le responsabilità della routine hanno confini sfumati. Possiamo dire che l’intensità della nostalgia assomiglia al finale delle favole, dove la promessa di contentezza e felicità è accennata ma non ha l’obbligo di confrontarsi con le noie e i pesi del quotidiano. L’amore appena nato è senza incomprensioni e l’amicizia appena stretta senza macchia.

Molte ricerche ci mostrano che la nostalgia è anche una grande risorsa. Secondo il professor Constantine Sedikides, direttore del Centro di ricerca sull’identità personale dell’Università di Southampton “le persone nostalgiche sono in realtà le più forti, perché capaci di rimettere insieme i pezzi del passato e fare della vita un percorso compatto”. Krystine Batcho, professoressa presso il Le Moyne College di Syracuse, N.Y. esperta di nostalgia, ha sviluppato nel 1995 il test “Nostalgia Inventory”, che misura quanto spesso e quanto profondamente la gente si senta nostalgica. La sua ricerca ritiene che le persone che sono inclini alla nostalgia eccellano nel mantenere relazioni personali e scegliere competenze sociali efficaci per affrontare i propri problemi. È rassicurante capire quanto siano state ricche le nostre vite: quanta gioia, lavoro duro, successo e emozione abbiamo sperimentato. Durante i momenti difficili, l'attenzione al nostro passato può rafforzarci ricordandoci come siamo sopravvissuti a sfide, perdite, lesioni, fallimenti o disgrazie. In più, il senso di chi siamo è strettamente legato a come ci vediamo in relazione agli altri ed infatti la nostalgia può rafforzare un senso di connettività sociale aiutandoci ad apprezzare ciò che abbiamo significato per gli altri e quello che gli altri hanno significato per noi.

Insomma, godiamoci la dolcezza di sfogliare qualche fotografia, pensando o immaginando il “mai più” o il “non ancora”: la nostalgia non è necessariamente una canaglia.

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