Psicoterapia: come, dove, quando

Psicoterapia: come, dove, quando

Sono nello studio durante la sospensione delle psicoterapie che ogni anno inizia a Natale e si conclude con la Befana. Alcuni colleghi hanno già ripreso a lavorare. Io stessa, diversi anni fa, sospendevo il lavoro solo alcuni giorni. Queste ed altre valutazioni non sono lasciate al caso. Penso questo mentre scrivo e osservo la chitarra appesa al muro. È una chitarra acustica, corde in acciaio, manico stretto e corpo ampio. A casa ne ho una simile con un corpo più piccolo e tasti stretti ma la mia preferita è la chitarra classica, corde in nylon e manico largo, perfetta per gli arpeggi. Ogni chitarra ha le stesse componenti che consentono un certo range di suoni e sonorità, ma materiali e forme cambiano il tipo di suono. Accade lo stesso in psicoterapia. Così come uno strumento ha delle condizioni materiali che consentono il suono, così anche l’incontro clinico. Sono le regole del gioco che servono da garanzia al gioco stesso, quando saltano, finisce il gioco.

Riguardo tali condizioni, mi rendo conto che negli ultimi anni ho strutturato maggiormente le regole di funzionamento dello studio: tariffe, modalità di pagamento e fatturazione, pause estive e di fine anno, gestione delle assenze e dei recuperi, frequenza degli incontri. Insieme a questi elementi, mi sono anche chiarita qualcosa circa il mio stile psicoterapeutico e l’uso di alcuni strumenti nella terapia (divano e/o lettino), piattaforme nella terapia on line. Questo non è solo un lavoro che premette l’incontro con un paziente ma è – soprattutto - un lavoro che permette l’incontro con un paziente. Questo insieme di condizioni e premesse non sono del tutto stabilite a priori e godono di una quota di arbitrarietà in funzione della specificità dell’incontro terapeutico.

Tuttavia, è proprio questa sufficiente fissità della struttura che consente di fare delle eccezioni o di desiderare delle eccezioni e di trattare entrambi i fenomeni come informazioni sul lavoro clinico.

Il setting è uno strumento

In psicologia quello che sto nominando viene chiamato setting e bisogna essere veramente temerari o incoscienti o entrambi per avventurarsi in un, seppur breve, discorso intorno al concetto di setting in psicoterapia; è qualcosa di fortemente connesso alle finalità e i modelli del lavoro clinico e non tutti i clinici lavorano nello stesso modo.

Così come uno strumento musicale, con quella forma e quel materiale, permette alcuni suoni e non altri, allo stesso modo il setting ha una sua struttura (dove, come, quando) che crea le condizioni per la relazione clinica. Ci possono essere diversi strumenti, così come ci possono essere diversi setting e le loro possibilità espressive ed esplorative non sono equivalenti ed intercambiabili.

Di divani, lettini…

Mi torna in mente un momento importante nel lavoro con Fabio, scrittore di professione e grande appassionato di astronomia. Lavoravamo da diversi mesi ed ho notato come gli eventi e le occasioni concrete della sua vita fossero sempre più spesso pretesto per procedere associativamente su altri orizzonti, meno connessi alla realtà esterna e più connessi alla realtà interna: chiudeva gli occhi e cercava un punto che non fosse nella mia direzione da trascendere per guardarsi dentro. Feci l’ipotesi di poter facilitare questo processo proponendo l’uso del lettino, oggetto simbolo del lavoro psicoanalitico e che, proprio in virtù di questa ingombrante mitologia, non do per scontato. Tale proposta prevede il passare da una postura verticale e maggiormente fondata sull’evidenza dello sguardo reciproco e della razionalità, ad una orizzontale – distesi sul lettino – con l’analista al fianco o dietro.  Thomas Ogden, psicoanalista contemporaneo, quando propone l’uso del lettino ai suoi pazienti, lo motiva dicendo che questo specifico assetto consente sia al paziente che al terapeuta di dire cose che altrimenti avrebbero più difficoltà a dire e facilita il terapeuta ad ascoltare diversamente ciò che viene detto dal paziente. Sul lettino il paziente non poggia più i piedi per terra, si predispone maggiormente in uno stato in cui poter lasciare la mente vagare liberamente. Il terapeuta, o la terapeuta nel mio caso, può ascoltare con la stessa libertà, mantenendo un contatto più diretto con la realtà, per esempio attraverso la consapevolezza del tempo e dello spazio (orario di entrata ed uscita dalla stanza di analisi).

…e astronavi

Questo è stato un cambiamento di setting. Fabio, molto ironicamente, mentre si sta sdraiando dice “entro in astronave” ed è un luogo – questo spazio interno – che molte persone impegnate in processi creativi chiamano “flow”, facendo riferimento più o meno consapevolmente alla teoria del flusso dello psicologo ungherese Mihály Csíkszentmihály, ma questa è una storia alla quale dedicheremo altre pagine. Non tutti hanno un’astronave tutta per sé, per dirla con Virginia Woolf, uno spazio interno frequentato sufficientemente da essere sentito come ospitale. Io credo che occuparsi di questo spazio - e la psicoterapia come la psicoanalisi è uno di questi modi, non di certo l’unico -  sia importante ed utile per vivere meglio e ridurre, quel po’ che serve, l’insofferenza alle bruttezze del mondo.

Come Fabio, anche io - con questo primo appuntamento del 2024 di Melasegno - torno nella mia astronave di pensiero e scrittura: due appuntamenti al mese fino alla prossima estate per capire qualcosa in più sulla contemporaneità da dentro lo studio di psicoterapia. Questo il nostro campo di gioco, questo è il nostro setting. Buona lettura e a presto.

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