Quali sono i miti d’oggi, visti dall’interno di uno studio di psicoterapia?
Festival Psicologia vi propone #melasegno, nuovo format a cura di Donatella Girardi, che ha l’obiettivo di vedere, ripensare ed ironizzare sui miti della contemporaneità, dal personale al politico, andata e ritorno.
Nel 1957, uscì la prima edizione di Mythologies (pubblicato in Italia con il titolo Miti d’oggi), una raccolta di saggi di Roland Barthes - semiologo, linguista e critico letterario francese - che tentò di approfondire quali fossero i miti più diffusi nella società dell’epoca e soprattutto in che modo attraverso il mito la società stessa diffondesse i propri valori.
Il libro di Barthes lo consiglio a tutti, perché è ancora estremamente attuale, oltre che godibile e divertente. Un piccolo alert: la prima parte del testo è un trattato di semiologia, nel quale l’autore spiega in che modo il mito operi, sostituendo all’originario rapporto fra significante e significato, fra forma e contenuto, il concetto che s’intende diffondere, fondato quasi sempre su rapporti di potere. E’ la sezione più ostica del libro, ma se si riesce a superare le prime resistenze, offre un metodo per interpretare la seconda parte e capirci qualcosa.
Nella seconda parte, infatti, Barthes entra nel merito dei miti allora in voga, con un acume ed una capacità ironica sottile e brillante. E’ una raccolta di saggi sui temi più disparati. In una carrellata travolgente, Barthes aiuta a capire perché sin dalle origini le industrie dei detersivi avessero scelto il bianco splendente come colore imprescindibile delle loro campagne (non solo il pulito, ma anche il candore, la purezza, l’assenza di colpa); in che modo il catch (l’antecedente del moderno wrestling) fosse non molto diverso dalla rappresentazione in maschera della tragedia greca; oppure quanto la società piccolo-borghese francese degli anni ‘50 non fosse in grado di concepire l’estraneo al di fuori delle proprie categorie interpretative (in un articolo si parla dei marziani, immaginandoli non solo antropomorfizzati, ma evoluti storicamente in modo parallelo al nostro, con tanto di venuta di Cristo sul loro pianeta).
Per Barthes, tutto può essere interpretato come segno: non solo la parola, ma anche l’immagine, il gesto, una statua o un’opera cinematografica sono terreno fertile per il mito.
Ma cosa intendeva per mito?
Proviamo a dirlo in parole semplici (mi scuserà il buon Roland per questo). Il significante ed il significato hanno un rapporto diretto. Prendiamo ad esempio una bandiera. Il significante (il tessuto o l’immagine della bandiera) è legato al suo significato originario (quel pezzo di stoffa issato su un palo è il vessillo che rappresenta la propria appartenenza al gruppo, ad esempio ad una nazione). Ora, la bandiera è anche un simbolo che ha un significato vago: può rappresentare l’amore che abbiamo per il nostro paese, ma anche il rapporto conflittuale che abbiamo con i nostri concittadini, con la politica che dovrebbe rappresentarci, con la storia del luogo in cui siamo nati.
A differenza del simbolo, il mito agisce in modo più subdolo, perché - per dirla alla Barthes - è sempre un furto della storia.
Che significa, però, questo furto?
Osservate quest’immagine, apparsa negli anni ‘50 sulla rivista Paris Match.
La foto rappresenta un soldato in tenuta militare che saluta con molta probabilità la bandiera francese. Il mito non si limita a proporre un simbolo vago. Quest’immagine intende rappresentare la potenza dell’imperialismo francese, la sua capacità di assimilare i popoli che ne fanno parte e renderli tutti cittadini, fedeli ed onorati di servire le armate di Francia.
Il furto in questo caso è totale: la storia è qui privata di tutti i soprusi che il militarismo ed il colonialismo francese hanno perpetrato alle popolazioni sottomesse, che appaiono ora sanificate e immolate al servizio del potere nazionale.
Roland Barthes, per spiegare questo processo, fa ampio riferimento all’inconscio. Barthes ha studiato Freud, anche se talvolta usa il concetto d’inconscio in modo improprio. In ogni caso, il processo attraverso cui opera il mito non è sempre consapevole. Il più delle volte è radicato nei meandri più oscuri del nostro inconscio condiviso socialmente.
Da notare che oggi la stessa immagine ci evocherebbe significati molto diversi. Il soldato è un bambino e la gran parte di noi, più che esaltazione, proverebbe orrore e sgomento. I miti si evolvono, cambiano e non sono sempre così aggressivi.
Ma quindi anche oggi possiamo parlare di miti? Certamente. La nostra cultura è intrisa di miti, siano essi politici e di massa o privati e legati alle relazioni più intime.
Proviamo allora ad approfondire quali sono i miti contemporanei, guardandoli attraverso il punto d’osservazione dello psicologo.
Scopriremo, ad esempio, che uno dei miti più diffusi oggi riguarda la rottura e la conclusione dei rapporti sentimentali, che raccontano il modo in cui rappresentiamo l’amore. La nostra cultura, infatti, ancora è imperniata sulla difficoltà a concepire l’amore come qualcosa di provvisorio ed ogni fine è pensata come fallimento, ovvero come falsificazione della storia che ha legato due persone per un certo periodo di tempo, fatta di emozioni complesse e molteplici, non solo distruttive. In questo senso, à la Barthes, la nostra è una cultura mitica dell’amore.
Anche da queste premesse nasce #melasegno, uno spazio di pensiero sulla contemporaneità da dentro lo studio di psicoterapia. L’autrice e psicoterapeuta Donatella Girardi ci accompagnerà per dodici settimane tra le righe dei suoi appunti con l’obiettivo raccontare i miti contemporanei.