L’ultimo incontro

L’ultimo incontro

Non sempre è possibile fare l’ultimo incontro di un lavoro di terapia. Idealmente la conclusione andrebbe progettata ed elaborata come parte integrante del lavoro. È a tutti gli effetti una separazione, come le molte nominate nelle storie di vita. Eppure, le terapie si interrompono senza che si sia potuto dare senso – insieme - a quanto stesse accadendo.

È accaduto con Giulia. Dopo alcuni mesi di lavoro ed una presenza incostante, mi scrive con cortesia ed educazione che avrebbe preferito non tornare all’appuntamento successivo. È accaduto anche con Ivo, preda dei legacci di una dipendenza, non si è più presentato, per poi raccontare anni dopo con una lunga mail la vergogna di una ricaduta.

La questione della fine è importante. Mi torna in mente un contributo dello psichiatra R.A. Friedman pubblicato su di un recente numero di Internazionale dal titolo “La psicoterapia non può durare per sempre”. Con questo titolo ruffiano si strizza l’occhio alla diffidenza nei confronti dei lavori psicoterapeutici di lunga durata. Un punto ha colpito particolarmente la mia attenzione: neanche troppo tra le righe, si evoca la difficoltà di interrompere questi lavori per via (o mettendola a carico) del bisogno economico del terapeuta e del suo piacere nel lavorare con il paziente.

Friedman, nel contributo citato, racconta di un paziente in terapia da molto tempo “nonostante stesse bene”, cioè in assenza di sintomi. Scrive: “ci sono motivi per credere che in assenza di sintomi acuti la psicoterapia possa diventare dannosa, (…) per un’attenzione eccessiva verso se stessi”.  Prosegue proponendo una sua regola generale: “se negli ultimi sei mesi il paziente non ha avuto sintomi del suo disturbo, o ne ha avuti in quantità minima, è possibile valutare una pausa”, se tornano i sintomi, si riprende a lavorare.  

Mi sento di voler dire qualcosa su questo perché, al netto di commenti faciloni sulla questione, il tema non è affatto di scarsa rilevanza. Quando finisce un’analisi o una psicoterapia? La domanda ne richiama immediatamente un’altra: qual è l’obiettivo dell’analisi o di una psicoterapia? Le parole dello psichiatra evocano in modo molto chiaro l’associazione della psicoterapia – che lui pratica e che ha in mente - alla terapia psicofarmacologica. Ci si presenta con uno o più sintomi, si ottiene una diagnosi, ne consegue una terapia che lavora con la finalità di rimuovere i sintomi stessi. La rimozione del sintomo può avvenire in diverso modo a seconda della teoria di riferimento e può dare origine ad interventi anche molto diversi tra loro. In quest’ottica, lavorare senza sintomi diventa un fenomeno curioso sul quale interrogarsi o, parrebbe, del quale diffidare. Nella mia esperienza, sicuramente diversa da quella di un medico psichiatra, le persone non richiedono un intervento psicologico solo per liberarsi dai propri sintomi. In taluni casi è vero, quello è il lessico utilizzato per portare il problema – ho la fobia x che mi impedisce di fare y, sono molto giù e non voglio fare nulla, non posso più mangiare, non riesco a smettere di bere etc. etc. -, ma nella maggioranza dei casi il sintomo espressione di un disturbo non c’è. Eppure, desiderano incontrare un terapeuta. Qui si pone una questione: cosa fare dei sintomi è chiaro, cosa fare del desiderio lo è meno. Pare che il criterio indicato – i sintomi - non sia di aiuto nel comprendere quali ragioni portano una persona ad andare in psicoterapia. La relazione terapeutica può assumere, e credo sia il caso degli interventi di lunga durata, la connotazione di scambio culturali. Si lavora alla costruzione di categorie di lettura del reale e alla sperimentazione d’uso delle stesse nel dar senso a quanto avviene nella vita, la propria. In quest’ottica, l’analisi o la psicoterapia finiscono quando cessa il desiderio di lavorare insieme, e questa è un’altra ipotesi di regola generale. Nella prassi, le terapie finiscono in molti modi, tutti diversi da quelli ideali. Non mi è mai capitato di pensare che un’interruzione legata a condizioni materiali (soldi, distanze, orari) parlasse solo di condizioni materiali. Il più delle volte, ci sono questioni inerenti il desiderio e l’opportunità di lavorare insieme ed è importante restituire alla componente materiale, la sua controparte simbolica e di senso.

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