Questo immenso non sapere. Conversazioni con alberi, animali e il cuore umano
Chandra Livia Candiani è poetessa anche quando scrive prosa, come in questo caso.
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Una buona pratica, preliminare a qualunque altra, è la pratica della meraviglia. Esercitarsi a non sapere e a meravigliarsi. Guardarsi attorno e lasciare andare il concetto di albero, strada, casa, mare, e guardare con sguardo che ignora il risaputo e vede ora.”
Chandra Livia Candiani ci regala un libro che è un insieme di pensieri, frammenti, riflessioni e ricordi, disordinato - dice lei nella prefazione - ma anche tenuto insieme con forza dall’attitudine poetica a domandare.
Questa opera assomiglia ad un lavoro paziente di sottrazione: si va al cuore delle cose togliendo il superfluo, togliendo i giudizi sommari, disossando le sovrastrutture del pensiero: arrivare alla terra, all’acqua, agli animali, ai sensi è allora un approdo che tiene in filigrana la memoria dell’intero processo di sfrondamento.
In questo, ricorda da vicino le riflessione di Adriana Zarri, teologa ed eremita, che parla della semplicità come processo che non procede, ma segue la capacità di introspezione psicologica ed emozionale, la valutazione e la critica. Si diventa bambini, non si torna ad esserlo.
Chandra Candiani ci consegna, dell’infanzia, la capacità di meravigliarsi, di guardare con occhi senza pregiudizi e nominare le cose avendone riconosciuto, per empatia, il cuore vibrante.
Ma senza atteggiamenti leziosi. Non c’è, in questa esegesi del sentire, la costruzione di un eden liberato dal conflitto.
In una bella intervista pubblicata da poco su Doppiozero, Candiani toglie di mezzo ogni forzoso buonismo. “Un Maestro traduce la parola Dharma, l’insegnamento del Buddha, la Legge naturale, i fenomeni, con “le cose così come sono”. Ecco, vedere le cose così come sono è lavoro di scalpellino e di minatore ma anche di bestia e bambino e vedere la cattiveria in noi, la crudeltà, è il primo passo verso la nostra vera natura che è mescolanza, che ha dentro tutti gli animali e tutti gli esseri divini, tutti gli orchi e tutte le fate, i Pollicini, i lupi, le streghe, le Cenerentole, tutti mescolati. Guardare con meraviglia non solo un bell’albero, (troppo facile), ma anche il nostro istinto assassino, le nostre bugie ‘professionali’, i nostri travestimenti santi, eroici. Guardare con compassione i nostri narcisismi fragili, gli ego bambini che vogliono divorare il mondo, le volpinerie e le gallinerie. Ogni volta che vedo il male in me sento un bene, ho visto, ho visto, posso essere libera. Ci vorrà lavoro, ma posso essere libera. Mai fare i carini.”
Similmente, Jung diceva che una ricerca autentica di sé privilegia l’integrità alla bontà, e metteva in guardia da tutti i processi di rimozione dell’ombra, sia sul piano personale che collettivo: se non troviamo un giusto spazio interno per contenere e maneggiare le nostre parti meschine e deplorevoli, saremo costretti a estrometterle nel mondo, negando loro la possibilità di evolvere in modo costruttivo.
Questo immenso non sapere è un libro-tesoro. Un libro che si può aprire a caso per farsi contagiare dalla bellezza di sostare nella riflessione o anche solo nella suggestione delle parole (la grammatica è la meditazione sulle cose che riguardano la sostanza della nostra esperienza: per questo, la conversazione è con il cuore umano e sembra indicare una necessità di ripartire dagli ingredienti di base). E’ un libro che attraversa le latitudini del simbolo e dello spirito, ma che parla del presente e al presente. Un libro che fa respirare nelle maglie ipersature degli oggetti della nostra attenzione, e ci regala una sovversiva navigazione in mari che allo stesso tempo conosciamo e ignoriamo.
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