Uscire dalla trappola del senso di colpa

Uscire dalla trappola del senso di colpa

L’altro giorno, durante un pic-nic nel bosco, una coppia di amici con figli mi ha raccontato un episodio che li stava preoccupando (e sì, gli psicologi sono un pò come gli avvocati, c’è sempre qualcosa da chiedergli durante un pic-nic). I bambini, un maschio di 9 anni e una femmina di 6, stavano giocando insieme con macchinine e lego. Il bimbo non voleva che la sorellina prendesse due macchinine rosse che gli avevano appena regalato. La bambina insisteva, lui le aveva passato altri giocattoli, ma lei voleva proprio quelle. In un momento di distrazione del bimbo, la sorella aveva preso le macchinine rosse e le aveva gettate fuori dalla finestra. Le macchine non si erano potute più recuperare, perché sotto il loro balcone c’è un bar con una larga tenda, i diversi tentativi fatti per ritrovarle erano stati infruttuosi. I miei amici erano preoccupati non tanto per la reazione del figlio, che gli aveva raccontato l’accaduto con calma, ma per quella della figlia, che aveva pianto disperatamente tutto il pomeriggio e durante la notte era stata molto inquieta. Dalle domande che le avevano fatto per capire cosa la faceva stare male, la bimba aveva detto che era dispiaciuta per le macchinine e temeva che il fratello non l'avrebbe perdonata (nonostante le esplicite rassicurazioni di lui e la promessa di ricomprare le macchinine al bambino). 

La bambina era evidentemente preda del suo primo senso di colpa. 

Il senso di colpa è definito come “sentimento morale” e già su questa definizione vale la pena riflettere: il senso di disagio, vergogna, preoccupazione, impotenza con cui spesso si accompagna nasce infatti da un atto di disobbedienza rispetto a una regola sociale. Anche quando il senso di colpa è legato a rapporti affettivi privatissimi, c’è sempre alla sua origine la rottura di una norma che implicitamente abbiamo interiorizzato, per cui sentiamo di poter essere oggetto di biasimo o di condanna. 

Il senso di colpa, quindi, è un sentimento complesso, che prevede la cognizione dell’essere inseriti in un contesto dove alcune cose sono lecite e alcune no. Questa liceità, in più, non è necessariamente sancita sul piano formale. La nostra istanza giudicante interna, che Freud ha chiamato Super-Io, è una mescolanza di ingiunzioni reali e fantasmatiche: quello che ci hanno detto esplicitamente che non va fatto si avviluppa con quello che noi stessi ci siamo immaginati come riprovevole.

Sul piano della civiltà, una quota di senso di colpa è quindi funzionale al mantenimento della convivenza. Ma spesso il senso di colpa assume, sul piano psicologico individuale, una proporzione inflazionata. In questo caso, di che peso si sta caricando chi si sente in colpa? Quasi sempre, quando si scava nelle profondità dei meccanismi relativi al senso di colpa, si arriva alla paura di non essere considerati degni di amore. Questo timore è il motivo sostanziale per cui il senso di colpa può letteralmente allagare la vita di un individuo. Ci si può sentire talmente in pericolo di perdere l’affetto degli altri che un semplice atto di opposizione, o anche solo di autodeterminazione, può produrre uno stato di profonda ansietà e/o di sostanziale immobilismo, come se in ogni azione possibile si celasse una potente cova di offese e ferite. Le persone attanagliate dal senso di colpa (per quello che hanno fatto, per quello che potrebbero fare) si perdono spesso in complicatissime ruminazioni del pensiero: se si sentono in colpa per qualcosa che è già successa, possono spendere molta energia psichica a rieditare gli avvenimenti, chiedendosi come altro avrebbero potuto comportarsi; se il senso di colpa è legato a qualcosa che deve ancora succedere, l’energia servirà per contemplare preventivamente tutti gli scenari possibili per evitare che quella persona o quelle altre ci rimangano male. 

Un nucleo fondamentale del senso di colpa, infatti, è proprio la dislocazione. Tranne che in pochi, concreti avvenimenti, il senso di colpa si pone in un tempo non presente, un tempo sfumato di vaghe possibilità. E’ come se l’atto individuale, che si definisce attraverso la scelta del comportamento e che si pone necessariamente in un “qui ed ora”, fosse messo sotto un giudizio impietoso che si compie “fuori scena”. 

Quello che può aiutare le persone eccessivamente condizionate dal senso di colpa è l’esercizio della responsabilità. Compiere una valutazione di sentimento sulle proprie intenzioni ed azioni (ho deciso di fare, non fare, dire, non dire, perché in quel momento mi è sembrata l’opzione migliore) consente di mettere a terra, nel presente e responsabilmente, le proprie scelte. Una volta che ci si sente responsabili della propria condotta sarà anche più facile farsi carico delle conseguenze. Parallelamente all’esercizio della responsabilità, si deve lavorare sulla percezione delle conseguenze. Perché, come abbiamo detto, spesso associata al senso di colpa c’è un’esagerata percezione della gravità dei comportamenti. La bambina che ha buttato dalla finestra le macchinine rosse del fratello, temeva che lui non le avrebbe voluto più bene come prima. Nell’esercizio delle proprie responsabilità è importante quindi monitorare il salto sul piano emozionale profondo che può spostare il peso verso la sensazione di colpevolezza. E infine, consentirsi la compassione: è quasi sempre vero, infatti, che chi è perseguitato da meccanismi di colpa rivolge a se stesso una severità di giudizio che non applicherebbe agli altri. In questa linea, essere capaci di assolversi è importante.

Lavorare sul senso di colpa è decisivo per la maturazione personale: il rischio di restare impigliati in un atteggiamento infantile di svalutazione e condanna di sé favorisce infatti comportamenti adesivi nei confronti di quelli che si immaginano essere i desideri degli altri nei propri confronti (il “come tu mi vuoi” o come io penso che tu mi voglia) e ci si perde. 

Una macchinina rossa si recupera facilmente: la percezione del proprio valore no. 

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