Cecità, di José Saramago

Cecità, di José Saramago

Il “mal bianco” di cui iniziano progressivamente a soffrire tutti gli abitanti della città senza nome che fa da cornice al romanzo è una specie di cecità, un mare di latte che invade il campo visivo e impedisce la vista.

Accade così che pagina dopo pagina i protagonisti del romanzo entrano in questa nuova condizione di non vedenti. Unica a salvarsi, diventando gli occhi del gruppo, è la moglie del medico, che però tace la sua condizione per non essere separata dal marito. Il destino dei ciechi è infatti quello di essere esiliati dalle autorità in sanatori dismessi alla periferia della città, in cui progressivamente si affollano gruppi di ciechi, ad ondate, con lo sviluppo di dinamiche violente di potere e sopraffazione per accaparrarsi le poche risorse a disposizione. 

Nella seconda parte del romanzo ormai tutta la città è cieca. Non ci sono più autorità o carcerieri. Il gruppo capitanato dal medico e dagli occhi silenziosi di sua moglie esce dal sanatorio e si avventura per le strade, cercando un modo per sopravvivere agli effetti devastanti della cecità collettiva. 

Scritto nel 1995 da José Saramago, Cecità è sembrato un libro profetico quando si è affacciata nelle nostre vite l’epidemia da Covid: il contagio che inesorabilmente si allarga, la struttura della società che trema, le reazioni affettive delle persone, altalenanti tra la solidarietà e l’aggressione. Lo scenario che racconta Saramago è in realtà molto più violento, molto più primitivo. E in questa scarnificazione delle cose fino alla chiarezza del fondo risiede la grandezza metaforica della narrazione. 

Quando una collettività di individui unilateralizza un atteggiamento sul piano della coscienza, le dimensioni inaccettate e incomprese si alienano dalla consapevolezza, ricadendo in una zona d’ombra del tutto inconscia. Ma questo stato di separazione è profondamente instabile: da un momento all’altro si può innescare un movimento di enantiodromia, secondo la definizione che ne dà Carl Gustav Jung, cioè un ribaltamento della situazione, un repentino cambiamento di rotta: la coscienza si trova così costretta a fare i conti con ciò che è stato scisso e alienato. «Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono», fa dire Saramago ad uno dei suoi personaggi. L’eccessiva fiducia nella razionalità, l’incapacità di sentire profondamente gli altri, gli automatismi insensati, tutte le direttrici della coscienza vengono fatte saltare in aria dal mal bianco. Quello che allora accade, nel ritorno del rimosso, è innanzitutto una cieca brutalità, la manifestazione degli istinti più radicali, più violenti. Tutto il corso del romanzo è un avvicinamento al centro del senso, c’è una vibrazione che prima è silente, poi esplode e poi lentamente si muove verso un nuovo ordine, verso un nuovo umanesimo, verso un nuovo sentimento etico. 

Cecità è un romanzo essenziale, duro e poetico. E’ uno specchio che ci confronta con le ombre personali e collettive, ci interroga sulle nostre visioni di noi stessi, dell’altro con cui ci relazioniamo, del mondo. E’ un romanzo pieno di umanità, e di speranza.

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