Il rientro a scuola. Attese e timori di genitori e insegnanti

Il rientro a scuola. Attese e timori di genitori e insegnanti

Il 14 settembre hanno ufficialmente riaperto le scuole di tutta Italia e quasi 6 milioni di studenti sono tornati in aula dopo sei mesi di assenza a causa del lockdown.

Il rientro a scuola è stato uno dei temi più dibattuti degli ultimi mesi, accompagnato da preoccupazioni – più o meno motivate - su un potenziale nuovo aumento dei contagi a causa del ritorno all’attività in presenza di una fascia di popolazione meno propensa, per motivi di età, a seguire pedissequamente le restrizioni, se non proprio a comprenderne il senso, in particolare quando si tratta dei più piccoli.

Accanto a ciò a destare timori era la tenuta del sistema scolastico in termini di infrastrutture e strumentazione idonea per il distanziamento sociale e la tutela della fascia ritenuta più a rischio, gli insegnanti, che nel nostro paese hanno un’età media molto elevata.

A fronte di ciò, come hanno vissuto il rientro le famiglie e le persone che lavorano nel sistema scolastico? Abbiamo provato a chiederlo a due genitori ed un’educatrice che vivono e lavorano nella regione più colpita dalla pandemia, la Lombardia, attendendo un livello di preoccupazione elevato, soprattutto a causa del contesto territoriale di appartenenza. Abbiamo scoperto che la situazione è più variegata di quanto si pensi.

I genitori non sembrano particolarmente preoccupati per il rientro in sé. Ciò che temono di più è soprattutto un nuovo lockdown. Nel loro racconto emerge più un bisogno di narrare ciò che è stato appena vissuto, che di esprimere possibili ansie per il futuro scolastico dei propri figli.

Elisa è una mamma di 41 anni della provincia di Milano. Il figlio ha 10 anni e frequenta la V° elementare di un istituto pubblico.

“Il lockdown è stato un periodo molto confuso e carico di ansie perché, per una parte del tempo, non si è compreso cosa stesse succedendo. 
I genitori chiusi in casa con i figli sono andati nel panico. Io un po’ meno di altri, ho provato a ritrovare una qualche routine familiare, anche se la didattica a distanza ha minato ogni equilibrio.
Abbiamo destrutturato le abitudini che non avevano più senso “chiusi in casa”, come gli orari mattutini e notturni, sostituendoli con cineforum e tornei di carte. Il lockdown ci ha insegnato a rivalutare il valore del tempo”

Davide, 36 anni, è invece un papà di due bambini. La più grande, di 4 anni e mezzo, frequentava prima del lockdown il 2° anno di una scuola materna pubblica milanese, mentre il più piccolo, di 15 mesi, aveva iniziato da pochi mesi ad andare all’asilo nido comunale.

“Dal mio punto di vista è stato difficilissimo, visto che la mia compagna lavorava da casa e io non lavoravo, quindi, a parte i pasti, mi occupavo quasi interamente dell’intrattenimento dei bimbi e degli addormentamenti del piccolo, che mi ha creato i problemi maggiori, avendo sempre bisogno di essere seguito. Ho avuto crisi d’ansia abbastanza forti legate alla mancanza di tempo e spazio per me. Soprattutto dopo Pasqua è stato un periodo molto buio. Prima ero quasi contento per lo stop di tutti, mi sembrava qualcosa che potesse mettere un freno alle ansie quotidiane di competizione o controllo”.

In prima battuta emerge prepotentemente il vissuto di disorientamento genitoriale. Il panico iniziale, la confusione, l’occupazione degli spazi personali da parte del figlio, la fatica – ma anche la creatività – nel ridefinire routine e regole quotidiane, hanno drenato l’energia mentale dei genitori. Il tempo è diventato improvvisamente una cartina al tornasole dell’esperienza interna. Qualcosa da riscoprire nella relazione con il figlio, ma anche una parte che viene sottratta al proprio controllo, generando ansia. In entrambi i casi, qualcosa che prima era dato per scontato, che poteva essere messo in sordina e che durante il lockdown ha richiesto un cambiamento di prospettiva.

Questa esperienza sembra aver provato molto i genitori, contenti di ritrovare la scuola come alleata nella relazione con i figli, ma anche spaventati all’idea che possa tornare il lockdown, ancor di più se in una forma ibrida:

“L’unica paura è che possa tornare una situazione perlomeno simile a quella vissuta in primavera. Probabilmente non sarei in grado di gestirla. Soprattutto se non fosse un lockdown totale ma una situazione per cui i bambini sono a casa ma noi continuiamo a lavorare”.

Oltre ai genitori, tuttavia, anche i figli hanno sofferto la situazione di clausura forzata, ancor di più quando si tratta di bambini in fase di sviluppo, che hanno necessità di esplorare il mondo esterno e di crescere nelle relazioni sociali, attraverso il confronto diretto con i pari. Davide ha ben in mente questi aspetti, che tuttavia sembrano aver influenzato di più la figlia maggiore.

“Mia figlia ha sofferto di noia, mancanza degli amici e degli spazi aperti, ma soprattutto nell’ultima fase. È diventata molto più impaziente e capricciosa. Mio figlio non è sembrato soffrire particolarmente, anzi ha apprezzato il fatto di avere più tempo con noi genitori. Di sicuro il fatto di non avere grandi sfoghi fisici, per esempio il parco, era un problema. Ma forse più per noi. Lui continuava a esplorare”.

Proprio il bisogno di socialità, di condivisione di spazi aperti e comuni e di adattamento alle nuove norme restrittive, preoccupa invece chi svolge una funzione educativa nel sistema scolastico.

Giada ha 26 anni e lavora come educatrice in una scuola primaria comunale di Brescia, una delle città maggiormente colpite dalla pandemia.

Da una parte i primissimi giorni di scuola l’hanno sorpresa piacevolmente:

“Mi aspettavo molto più caos organizzativo ed emotivo. Avevo sottovalutato la resilienza dei bambini. Pensavo che i mesi senza avere un confronto o senso di affiliazione con i pari e senza un adulto di riferimento esterno alla famiglia, insieme alle nuove regole anticovid, rendesse più difficile l'inserimento degli studenti all’interno di un contesto scolastico molto più restrittivo”.

Sono tuttavia proprio la capacità di adattarsi alle nuove restrizioni da parte degli studenti e con essa i nuovi modelli relazionali e di gestione degli spazi collettivi a dover essere pensati attentamente dagli insegnanti e dal sistema scolastico nei prossimi tempi:

“Gli aspetti più critici sono l’adattamento degli studenti ai nuovi modelli relazionali proposti, meno fisici. Oltre a ciò anche alcuni aspetti organizzativi, come la ricreazione in classe, seduti, o l’orario striminzito di accesso ai bagni. Tutto in apparenza sembra organizzato alla perfezione, ma non tiene conto di alcuni fattori fuori dal controllo degli insegnanti: i bambini tendono a cercare il contatto fisico pure se lo disponi a 2 metri di distanza, soprattutto nei momenti dedicati al gioco”.

Anche in questo caso, riemerge la preoccupazione principale del sistema scolastico, come già avevamo riscontrato nell’articolo pubblicato durante il lockdown, controllare ciò che è percepito come fuori controllo. Se prima la sfida era rispetto alla didattica a distanza, oggi è legata alle nuove forme di restrizione del movimento fisico e del rapporto sociale.

Chi lavora nella scuola, tuttavia, sembra essere consapevole che nessuna norma può essere garantita se non si pone attenzione alla relazione. Il lavoro più grande sarà dunque accompagnare gli studenti in questo cambiamento di senso, garantendo la funzione educativa della scuola, oltre che la didattica. 


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