Dalla competizione alle culture dell’eccellenza a scuola

Dalla competizione alle culture dell’eccellenza a scuola

Vorremmo segnalare un evento di particolare interesse per tutti coloro che vivono, in modo diretto o indiretto, il contesto della scuola. La Camera dei Deputati ha approvato in data 11 gennaio 2022 una proposta di legge (è possibile leggere il testo qui) volta ad introdurre delle competenze definite come non cognitive. Il documento fa riferimento a competenze quali amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva, apertura mentale, capacità di organizzazione e interazione, e prevede un triennio di sperimentazione nel quale siano esplicitamente promosse nella cornice dell’offerta didattica delle scuole secondarie di primo e secondo grado. 

Tale proposta rientra nelle disposizioni per la prevenzione della dispersione scolastica, problema che impegna da sempre il Legislatore, con fortune alterne. Dal testo di tale Proposta di Legge possiamo ricavare diversi spunti interessanti. Uno dei quali è l’esplicita e per nulla scontata attenzione alla relazione. L’attenzione del Legislatore a individui con difficoltà ha nel tempo prodotto misure e linee di intervento volte a fornire strumenti di aiuto per quei soggetti che più di altri rischiano esclusione sociale ed esclusione dai processi formativi. 

Cosa intende dire tale Proposta di Legge?

Una possibile interpretazione è che le misure tarate su bisogni, necessità e difficoltà di individui a rischio esclusione non sono sufficienti. I bisogni individuali sono potenzialmente infiniti, dunque impossibili da soddisfare per quanto grande possa essere il dispiegamento di risorse. Forse questa proposta di legge vuole dirci che la Scuola si trova nella necessità di intervenire sulle competenze utili alla cura dei rapporti interpersonali.

Siamo al terzo anno scolastico consecutivo attraversato dalla pandemia da Covid-19, pandemia che ci ha ricordato  qualcosa che sembra di una ovvietà assoluta ma che tante volte dimentichiamo: la Scuola è luogo di socializzazione, luogo in cui si impara a costruire e consolidare legami.  

Quali modelli abbiamo per promuovere competenze relazionali?

Come si trasmettono tali competenze ai giovani? Ne hanno bisogno solo i giovani? Che la Scuola sia il luogo elettivo della socializzazione non è cosa inedita. Tuttavia, che una proposta di legge abbia come pilastro competenze non cognitive  è cosa tutt’altro che scontata. Dopo il - si spera certo - passaggio della Proposta al Senato, sarà da capire in che modo introdurre tale sperimentazione in modo efficace.  Un altro spunto può essere dato dal cogliere che si parli di competenze che non sono legate esclusivamente ad un quadro “patologico”. Le competenze all’amicalità, le competenze organizzative, non riguardano solo una popolazione scolastica con diagnosi o con altri elementi di fragilità.   

La Psicologia - e non esclusivamente - dovrà farsi trovare pronta a quello che potrebbe diventare un cambio di paradigma nel trattare i problemi di una Scuola duramente provata non solo dalla pandemia. È verosimile immaginare che il Ministero dell’Istruzione intenda proporre azioni formative rivolte ai docenti, i quali andranno adeguatamente sostenuti in questo triennio di sperimentazione. Può essere l’occasione per rifondare alcuni elementi del rapporto tra Scuola e competenze psicologiche, laddove queste ultime siano maggiormente chiamate a fornire un aiuto su aspetti organizzativi e relazionali.

Come promuovere le competenze non cognitive?

Dando centralità ad un concetto: il proprio benessere passa dalla disponibilità a capire come si senta l’altro, cosa provi, dove sente di stare.

Pensiamo ad una scuola secondaria professionale: se chiedessimo ad uno studente “perché sei qui?” costui potrebbe rispondere “per imparare un lavoro che mi piace”. Quello studente potrebbe tuttavia rappresentare sé stesso, senza esserne pienamente consapevole, come un somaro finito in una scuola di somari perché non adatto al liceo. Siamo certi che tutti gli insegnanti di quella scuola si chiedano se le attività proposte siano percepite come attività per somari? Uno studente che si sente trattato da somaro come vogliamo che si comporti?

È necessario che la scuola recuperi credibilità sulla capacità di formare i giovani al lavoro, alla vita. Le attività che possiamo immaginare come più efficaci saranno quelle nelle quali l’elemento decisivo alla riuscita non sarà dato dalla bravura del singolo ma dalla capacità di cooperazione, riconoscendo i sentimenti e le peculiarità dell’altro. Pensare che sia possibile passare dalla competizione a culture dell’eccellenza: il primo classificato può essere soltanto uno, gli eccellenti possono essere tanti. Allenare i giovani a interpretare, a dare senso, a prevedere dei codici di funzionamento estranei. E soprattutto ascoltare cosa hanno da dire. Sarebbe già tanto far passare il concetto che la capacità di costruire legami soddisfacenti sia una competenza (qualcosa che può essere affinato nel tempo), e non solo una caratteristica innata (se non ce l’hai sei fregato).

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