Affaticati dall’incertezza. La lunga onda del virus

Affaticati dall’incertezza. La lunga onda del virus

Un incidente di macchina. La perdita di una persona importante. Un terremoto. Ognuno di noi ha fatto nella sua vita esperienza di un accadimento che arriva a colpirci fino allo stordimento. E proprio così ci si sente, storditi, intorpiditi, confusi, persi. Ci rimettiamo in carreggiata, reagiamo chiamando a raccolta tutte le forze di cui siamo capaci, ci facciamo coraggio. A volte mettiamo il male da un’altra parte, si chiama isolamento dell’affetto, e continuiamo come niente fosse. A volte il fulmine arriva dopo molto tempo rispetto al tuono che lo ha annunciato. Qualsiasi sia la nostra reazione immediata, l’essere esposti ad un evento catastrofico ha un peso sulla nostra esistenza ed i suoi effetti possono essere molto vari, riguardare soprattutto il corpo oppure manifestarsi principalmente sul piano emotivo. 

Ma quello che accade, generalmente, è che dopo aver contratto tutti i muscoli per prepararsi alla lotta, ci si rilassa. Sia che si abbia vinto, sia che si abbia perso, alla battaglia segue la notte nell’accampamento. Invece con il Covid non smettiamo di essere sul campo, non smettiamo di guardare preoccupati l’orizzonte. E’ un’onda che non si infrange, un’onda inaspettatamente lunga.

Questa situazione di tenuta allarmata ci riguarda come ci riguardano i grandi passaggi collettivi, in cui è l’intera collettività ad essere esposta, sul piano cosciente e su quello inconscio.

Certo, possiamo scegliere, individualmente, quanto esporci al discorso dell’allarme, possiamo leggere fino a un certo punto, collegarci fino a un certo punto, commentare fino a un certo punto. Anche credere a quello che ci dicono fino a un certo punto, perché la negazione è un pensiero ma anche un meccanismo difensivo che proprio dall’angoscia vuole difenderci, sacrificando la complessità in cambio di una rassicurazione immediata.

Ma la pandemia continua ad essere l’atmosfera in cui siamo immersi e che respiriamo. 

Molte tra le persone che incontro sono energicamente esaurite da questo protrarsi dello stato d’allarme, dall’impossibilità di progettare, rilanciare, aprirsi al domani. Sono esaurite sul piano profondo dove la psiche si trova costretta a fronteggiare l’angoscia, dove le categorie per comprendere e interpretare la realtà smottano, e torna a presentarsi un’esperienza ancora troppo assurda, in cui ognuno di noi tenta faticosamente di costruire il suo filo della storia.

Ci si è anche inventati un nome, perché i nomi sono un tentativo di cesellare in poche segni riconoscibili un mondo vasto e impreciso (lo sapeva bene Cristoforo Colombo, che spostandosi nel nuovo mondo ha dato nomi ad ogni piccolo agglomerato di spazio). Si chiama “pandemic fatigue”, e secondo l’Oms è appunto una perdita di forza psichica, di motivazione, di fiducia. Una svogliatezza a occuparsi della portata di questa preoccupazione generale. 

Difficile suggerire ricette per stare bene. Possono sembrare e spesso sono fasulle come le pacche sulle spalle di incoraggiamento quando ci si sente veramente a terra. 

Passerà, saremo oltre questo, l’onda si infrangerà. E’ importante nel frattempo osservarsi, starsi vicino, concedere anche spazio allo scoraggiamento, farlo depositare sul fondo senza sentirsi in colpa per questo. E dedicare un pò di tempo al mondo psichico, questo sì. Perché la possibilità di coltivare la psiche (o l’anima, se preferiamo questo termine) è un dispositivo che ci consente di sublimare la troppa concretezza in cui la paura ci costringe. Come? Leggendo poesie, parlando di cose che stanno veramente a cuore, mettendosi in una prospettiva di respiro più ampio, contemplando  l’arte e la natura, se non le si possono vivere direttamente - giusto per fare qualche esempio. Anche queste cose ci consentono di tenere vivo il nostro percorso esistenziale, in attesa che l’onda si infranga.

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