Istrione

Istrione

“Io sono un istrione a cui la scena dà la giusta dimensione (..)
Io sono un istrione ed ho scelto ormai la vita che farò (..)
Con il mio viso ben truccato con la maschera che ho
sono enfatico e discreto versi e prosa vi dirò (..)
Con tenerezza o con furore e mentre agli altri mentirò
fino a che sembri verità fino a che io ci crederò”

Charles Aznavour, “Io sono un istrione” (Le Cabotin) 1971 

Angelica è una donna di 35 anni, che si presenta in terapia perché non si sente pienamente realizzata. Ha un bell’aspetto, è molto curata e si rivolge al terapeuta in modo affabile, alla ricerca di immediata confidenza. E’ molto teatrale nel modo di porsi. I suoi racconti sono accompagnati da ampi gesti esplicativi, descrive le emozioni in modo drammatico, spesso con ironia e malizia.
Angelica fa un lavoro che non le piace e passa la gran parte del suo tempo su Facebook, in particolare su alcuni gruppi nei quali pubblica foto personali che la ritraggono in espressioni e pose ammiccanti ed erotiche.
Ha molto seguito sui social network, i follower che le scrivono sono centinaia e Angelica con loro instaura rapporti virtuali nei quali mette in gioco tutte le sue abilità seduttive.
Se, però, nei gruppi qualche altra donna riceve più complimenti di lei, si sente minacciata e per questo scrive commenti caustici, che spesso la portano a litigare con le altre donne.
Fuori dai social network, tuttavia, la sua vita sentimentale è deludente. Non incontra quasi mai gli uomini con cui flirta online e quando li incontra ne è poco attratta, come se la sua ricerca di attenzioni si saturasse quando il rapporto si sposta su un piano di realtà.
Angelica ricorda che da piccola faceva di tutto per ricevere le attenzioni paterne. Il padre, un uomo molto indaffarato sul piano lavorativo, le mostrava interesse solo quando Angelica mostrava di avere un problema grave: un’influenza, una pena d’amore, un brutto voto a scuola. Fu da quel momento che Angelica cominciò a inventare storie, esasperando contenuti e vicissitudini, per ricevere le attenzioni di un padre altrimenti distratto.
Angelica passa molto tempo delle sedute a giustificare i suoi costanti ritardi. Ad ogni seduta, il racconto degli imprevisti occorsi sembra essere sempre più imprevedibile e sensazionale e Angelica non risparmia mai dettagli nel descrivere in che modo “capitino tutte a lei”.
Nell’Antica Roma, i primi commedianti - che principalmente si dedicavano al ballo o alla mimica - provenivano dall’Histria, una provincia ai margini della penisola italica, nella quale la lingua latina non era ancora molto diffusa. Erano attori che dunque usavano molto il corpo, le espressioni facciali e la prossemica per intrattenere il pubblico romano. In seguito, il termine venne ampliato e cominciò a rappresentare prima gli attori di altra origine non latina (come gli etruschi) e infine gli attori in generale.
Da qui nasce il concetto di istrione, che con i secoli divenne di uso comune per identificare persone particolarmente teatrali anche nelle relazioni quotidiane, spesso seduttivi, alla ricerca di attenzioni e volti a drammatizzare le esperienze vissute.

La storia di Angelica è piuttosto frequente nel mondo dei social network. Con la diffusione dei gruppi chiusi su Facebook - sui quali è possibile condividere fotografie e storie di vita con persone affini - e di Instagram - un social interamente incentrato sull’immagine - la possibilità di incontrare persone che hanno caratteristiche istrioniche è molto alta, anche perché sono gli stessi strumenti social a favorire questo tipo di percezione. 

Il numero di donne - ma negli ultimi anni anche di uomini - che mostrano il proprio corpo in forma controllata è in costante aumento. Il corpo può essere mostrato oscurando il volto, per salvaguardarsi dalla possibile “fuga di fotografie” dal contesto specifico, oppure può essere strategicamente perfezionato tramite i filtri, per apparire più attraenti.

In tali contesti, la rappresentazione teatrale segue specifici codici, quasi dei rituali. La persona pubblica una foto con una didascalia ironica e nel giro di qualche minuto la schiera di commenti si affastella, con toni che variano dalla commedia sexy al corteggiamento manifesto.
Qualche volta si può incappare in un litigio fra attori/attrici sulla scena. Una persona in competizione può essere accusata molto facilmente di essere “ipocrita” e fa sorridere che l’ipocrita, nel mondo greco, rappresentasse proprio l’attore.

L’aspetto più impressionante di queste persone che si contendono a suon di like il primato sui social network, si rivela quando il piano passa alla conoscenza personale e privata. Spesso si tratta di persone con alle spalle storie di fallimenti familiari, insoddisfazioni professionali, disillusione per i rapporti di coppia, matrimoni finiti. Una volta spente le luci del palcoscenico, il camerino appare un luogo desolato, vuoto, o meglio, riempito di recriminazione e frustrazione per una vita che non è andata come si sarebbe voluto. 

Si comincia, dunque, a capire perché alcune persone preferiscano raccontare storie avvincenti, anche solo attraverso le immagini, da contrapporre a una realtà faticosa, complessa e deludente, nella quale l’incontro con l’altro è sempre imprevisto, perché l’altro è un estraneo da conoscere e non un follower da aggiungere alla lista. 

Quando parliamo di istrioni, spesso ci concentriamo sulla ricerca di attenzioni, sulla drammatizzazione, sulla scarsa tolleranza al rifiuto ricevuto. Sottovalutiamo, invece, l’aspetto più rilevante, la seduttività.

Una seduttività che non necessariamente ha un carattere sessuale, può anche essere rappresentata dall’annullamento delle distanze e dalla ricerca di una confidenza immediata, anche quando non ci si conosce.

Questo è un tipo di esperienza che i terapeuti e gli psicologi in generale conoscono bene nel rapporto con alcuni pazienti.

Etimologicamente sedurre significa “condurre a sé”, dunque possedere l’altro. Nella mente della persona istrionica, la fantasia di possesso sostituisce lo scambio con l’altro. La persona con cui si interagisce deve essere ricondotta agli schemi emozionali noti per evitare il confronto con l’estraneità altrui. Un’estraneità che spaventa perché richiede un processo conoscitivo complesso, che può avvenire solo se esiste uno spazio vuoto fra le due persone. 
Uno spazio vuoto (o una “cosa terza” per dirla con Renzo Carli) nel quale incontrarsi, condividere pensieri, obiettivi, interessi e passioni, ma nel quale non è possibile annullare o inglobare l’altro, tramite il potere delle nostre fantasie inconsce.
Uno spazio che va compreso, manutenuto e presidiato, affinché la relazione possa essere costruita.

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