Gli psicologi tendono a diffidare dalle ripetizioni, in esse rintracciano una certa incompetenza ad adattarsi alla variabilità del mondo, interno ed esterno. I riti potrebbero essere intesi così: grandi e diffuse ripetizioni di assetti socioaffettivi funzionali al raggiungimento di specifici obiettivi collettivi. Eppure, gli antropologi, che qualcosa di riti sanno, raccontano come proprio la stabilità di alcuni codici del rito consente l’emersione di originali modi di starci dentro. Pensandoci, hanno ragione. È quello che avviene con il setting terapeutico: la stabilità degli accordi circa giorno, orario, tariffa e luogo degli incontri hanno la funzione di cogliere le variazioni che si manifestano ed utilizzarle (ritardi, sedute saltate, dimenticanze e così via).
Il Natale, nel suo assetto condiviso di pranzo e cena in famiglia, è un mega rito collettivo e familiare. Le settimane precedenti e successive la pausa natalizia del lavoro psicoterapeutico sono spesso utilizzate per raccontare i preparativi o l’esperienza condivisa in famiglia. Cogliamo intuitivamente che non è solo mangiare insieme quello che avviene ma è uno psicodramma a tutti gli effetti, una messa in scena della cultura familiare.
Chi cucina, cosa si cucina, dove ci si incontra, di cosa si parla e di cosa si evita accuratamente di parlare, questi ed altri sono i fili che si possono prendere per iniziare a pensare i propri pranzi e cene di Natale come rappresentazioni.
Quanto dico mi è stato piuttosto evidente un Natale di diversi anni fa. Nella mia famiglia, Mario e Franca, i miei due nonni, erano dei bravi cuochi. Come spesso accade, la nonna si occupava di sfamare la famiglia nella quotidianità ed il nonno si esibiva in alcune occasioni particolari con meraviglie di pesce. A Natale il nonno, con il supporto della nonna (in realtà lo facevano insieme ma era il nonno che passava per chef) preparava lo spaghetto con le vongole. Tutta la famiglia glorificava queste vongole ed il nonno con loro. Nessuno spaghetto con le vongole avrebbe mai potuto eguagliare quello preparato. Dopo la morte del nonno c’era da capire come fare con queste vongole. Negli anni successivi la nonna ha tentato di proseguire la tradizione familiare preparando gli spaghetti con le vongole ma ogni Natale i commensali ci tenevano a dire che erano buone… ma non come quelle del nonno.
Afflitta e pure un po’ irritata, un Natale la nonna, con qualche figlia complice, decide di rivolgersi ad un ottimo ristorante di pesce del quartiere ed acquistare uno spaghetto con le vongole per porre fine a questo infinito supplizio. Purtroppo, non andò come la nonna sperava e il ristorante recapitò una brodaglia insapore (quella sì non era buona) deludendo enormemente e più del solito le attese dei commensali. Non venne mai svelato il retroscena ma da quel Natale, alcuni di noi ai quali era arrivata la soffiata, proposero di bandire gli spaghetti con le vongole e di sollevare la nonna da questa incombenza (non tanto quella di cucinare ma quella di sacrificarsi per mantenere salda l’idealizzazione del nonno). Gli anni successivi sono circolate lasagne, risotti, paste ripiene ed oggi sono anche tornate le vongole buone pure se il nonno non c’è.
Di quanto vi parlo si è occupata la cattedra di Psicologia Clinica presso la Facoltà di Medicina e Psicologia di Sapienza di R. Carli e R.M. Paniccia in due ricerche (nel 2006 e nel 2017). L’obiettivo era proprio quella di esplorare le culture familiari attraverso l’evento “pranzo di Natale” nell’ipotesi che ne fosse estremamente rappresentativo. Controllo familiare attraverso il potere del cucinare e dell’ospitare, differenze generazionali annacquate dal vissuto di adempimento, il confronto con i limiti, primo tra tutti la morte dei componenti della famiglia, anche il futuro e la nascita come fiducia nella generatività, i regali, al contempo esperienza della reciprocità e della sacrificalità obbligante.
Il rischio del Natale è che diventi una ripetizione obbligata ed obbligante delle coreografie del gruppo familiare, senza alcuna libertà di improvvisare. Riempirsi di doverosità e obblighi è una buona contromisura alla fatica di domandarsi perché ci si vede e cosa si vuole fare insieme. Il rapporto tra adempimenti ed obiettivi è uno dei modi in cui si parla di questa questione in psicologia e segna la differenza che c’è tra il procedere perché prescritto (“Natale con i tuoi”) o perché è tuo interesse che avvenga.
Quanto ci si può divertire a questi pranzi o cene di Natale è un buon termometro della capacità delle relazioni familiari di produrre alternative all’adempimento. Trasformare obblighi in obiettivi è forse una tra le competenze emozionali e relazionali più rilevanti per lo sviluppo dei sistemi di convivenza, anche quelli che si organizzano intorno ai pranzi di Natale.