“Ansia” è la parola psicologica più cercata in rete. “C’ho l’ansia”, è una delle affermazioni più utilizzate nel linguaggio comune quando si segnala una sfumatura caratterizzata emotivamente. Quasi come il nero nell’abbigliamento, sembra che l’ansia stia bene con tutto. Tanto che anche personaggi noti ne parlano nelle loro confidenze social con molta nonchalance: Lili Rienhart, attrice di Riverdale, sulle sue stories di Instagram ha rivelato di avere ripreso la sua terapia contro ansia e depressione e ha mandato un messaggio di self-love a tutti i suoi follower, Daria Bignardi ha dedicato all’ansia il titolo del suo ultimo libro.
Le ricerche rafforzano questo dato. Ansia e attacchi di panico sono al top nella lista delle nuove minacce per la salute degli italiani. In un sondaggio on line condotto dall’Associazione Europea Disturbi da Attacchi di Panico (Eurodap), al quale hanno risposto oltre 700 soggetti tra i 19 e i 60 anni, si è indagato quanto spesso le persone sperimentino alcuni dei sintomi tipici dell’ansia e del panico. Dai risultati è emerso che il 79% di coloro che hanno risposto al sondaggio ha avuto, durante l’ultimo mese, manifestazioni fisiche frequenti e intense di ansia; il 73% si percepisce come una persona molto apprensiva, che si preoccupa facilmente di piccole cose/situazioni; il 68% dichiara di avere non poco disagio a stare lontano da casa o da luoghi familiari, mentre il 91% trova molto spesso difficoltà nel rilassarsi.
A parte il cambiamento di costume, che consente di sdoganare uno stato d’animo con connotazioni psicopatologiche senza vergogna, ritrosia o paura, cosa racconta l’aumento di questa affezione? E, intanto, cosa si intende per ansia?
L’ansia ha infatti diverse sfumature: si parte dalla tensione legata ad eventi specifici (parlare in pubblico, camminare negli spazi aperti, andare nei centri commerciali), fino a violente espressioni che si manifestano con un corredo di sintomi molto angoscianti per chi li sperimenta: sudorazione, palpitazioni, senso si intorpidimento di tutto il corpo, paura di svenire, di impazziere, di morire. I fenomeni ansiosi sono poi soggetti a meccansmi di apprendimento e di condizionamento, per cui la persona che ha sviluppato una reazione di ansia o di panico in una data situazione, tenderà ad associare situazioni simili alla comparsa dei sintomi. Con l’andare del tempo si possono instaurare quelle che vengono definite tecnicamente “condotte di evitamento”, ovvero il sottrarsi alla possibilità di ritrovarsi in situazioni ansiogene. Questa tendenza all’evitamento può, nel tempo, compromettere la vita quotidiana anche in maniera severa. Non soltanto perché si può progressivamente restringere in maniera significativa il ventaglio di esperienze vitali, ma perché le persone che soffrono d’ansia costruiscono progressivamente una percezione del sé come fragile, minacciato, sovraesposto.
Questa percezione ci racconta qualcosa anche del meccanismo intrapsichico che sostiene i fenomeni ansiosi. L’ansia è infatti, sostanzialmente, un fallimento della possibilità di controllo sulla realtà. L’ansia e, ancora più violentemente, il panico, costringono il soggetto a confrontarsi con l’irrompere di qualcosa di spaventoso rispetto al quale si sperimenta l’insuccesso delle proprie strategie di fronteggiamento.
Non è un caso che i fenomeni ansiosi siano in aumento in questo periodo storico. Da un lato è infatti aumentata – anche grazie alla disponibilità di informazioni che prima non venivano intercettate – la percezione che la realtà è sottoposta continuamente a calamità e a fenomeni collettivi violenti (i disastri ambientali, il terrorismo, etc.). Dall’altro le persone sono più sguarnite di strumenti per decodificare la portata di tali sollecitazioni, nonostante al soggetto vengano richieste doti performative nell’affrontare il mondo sempre più elevate. La rivoluzione del vissuto delle coordinate spazio-temporali che ha investito il nostro tempo può trovarci impreparati: i confini spaziali del mondo si sono indeboliti e dilatati; il tempo ha subito un processo vertiginoso di frammentazione e accavallamento di eventi/oggetti della coscienza. È come se si chiedesse al nostro sistema-individuo di processare sul piano della significazione del mondo (reale e digitale) una massa immensa di dati. Il processo di significazione prevede necessariamente una assegnazione di connotati emotivi alle esperienze. Nella nostra società si è disgregata una funzione che prima faceva da collante affettivo e da matrice di attribuzione di senso alla realtà: la comunità, il collettivo. Prima c’erano riti sociali che favorivano la definizione e il contenimento delle emozioni. Una paura veniva significata e depotenziata dal gruppo delle relazioni prossimali. Ora si è più soli di fronte all’esperienza del mondo, meno abituati a raccontare, dare un nome alle emozioni che si provano, metabolizzarle in un processo che ne favorisca l’integrazione. Di fronte a stimoli potenzialmente spaventosi – che irrompono sempre più facilmente nella scena del proprio mondo interno – si ha meno tempo, meno spazio e un alfabeto meno raffinato per accogliere e trasformare l’esperienza. E viene l’ansia.
I percorsi di potenziamento del senso della propria efficacia nel fronteggiamento di queste emozioni non può non passare dal recupero di una fiducia nella continuità del senso di sé. Un attacco di panico finisce. Uno stimolo spaventoso passa. Ma la continuità del sé si sviluppa e si fortifica insieme al contenimento della frammentazione dei macrocosmi che abitiamo.