Reinventarsi a 40 anni: quando a rischiare erano gli scrittori

Reinventarsi a 40 anni: quando a rischiare erano gli scrittori

In questi giorni stiamo parlando del career coaching, inteso come quel percorso riflessivo e motivazionale - di cui gli psicologi del lavoro sono eminenti promotori - che accompagna le persone nelle diverse fasi del proprio sviluppo professionale, da chi si affaccia per la prima volta al mercato del lavoro a coloro che per i motivi più disparati desiderano dare un taglio netto e ricominciare, intraprendendo strade nuove, seppure impervie. 

Con le profonde trasformazioni del mercato del lavoro, la precarizzazione ed i processi di globalizzazione, le traiettorie segnate e lineari racchiuse nel concetto di carriera diventano sempre meno certe e la loro rappresentazione geometrica somiglia sempre più ad una sinusoide, che ad una linea retta. E questo fenomeno non riguarda più soltanto i giovani, ma anche coloro che desiderano cambiare vita a 40 anni.

Come ogni generazione, tuttavia, siamo intrisi di miti recenti che percepiamo se non proprio eterni, quantomeno perduti nel tempo. Così l’impressione che un mondo radicato e monolitico sia giunto alla fase del tardo impero alimenta i discorsi sulla precarietà del lavoro. Solo da poco sono venute meno le certezze del posto fisso, dell’indeterminato, della stabilità. Allo stesso tempo, i mantra del “fai il lavoro che ami”, “segui le tue passioni”, stay hungry, stay foolish, sono narrati come ricognizioni culturali recenti.

Nulla di più distante dalla realtà storica. Se esiste un mito dell’autorealizzazione, del talento e del rischio, esso trae le sue radici almeno nel Romanticismo. 

La letteratura soprattutto è piena di storie di scrittori che hanno passato la propria giovinezza a capire cosa ci facessero nel mondo, quale fosse il loro ruolo nella società e cosa gli riuscisse meglio. 

Per molti di loro ci sono voluti anni di tentativi, gavette, vicoli ciechi, esperienze estreme e sbandamenti. Solo in tarda età quello strano ammasso di esperienze scisse ha trovato senso e nobilitazione nella scrittura, l’unica attività in grado di restituire al caos della vita quella coerenza che chiamiamo biografia. 

Ci sono venute in mente le storie di tre scrittori a loro modo esemplari. In verità talmente uniche da rendere inutile il concetto stesso di esemplarità. 

Fuori e dentro il carcere: Edward Bunker

Alcuni lo ricorderanno per il ruolo di Mr. Blue ne Le Iene di Tarantino, ma Bunker, prima di diventare scrittore ed attore dall’espressione laconica, è stato un carcerato. Figlio di due alcolisti, da bambino Edward fa la spola fra orfanotrofi, case famiglia e la strada, scoprendo una dote innata per le rapine, che lo porteranno prima a finire in diversi riformatori e poi ad essere il più giovane detenuto del carcere di San Quintino, a soli 17 anni. Edward sa muoversi in carcere, sa che per non avere rogne conviene fingersi pazzo, sa anche come si evade. E’ tuttavia in cella che comincia ad appassionarsi alla scrittura. Era ancora l’epoca della Beat Generation, quando il mestiere dello scrittore era un’espressione di ribellione più che una carriera da intellettuali e accademici.
Negli anni successivi, fra i ‘60 ed i ‘70, tuttavia, continuerà a organizzare rapine, truffe, ad entrare ed uscire dalle carceri, fino a quando non riuscirà a pubblicare il primo romanzo, Come una bestia feroce.
Nella sua storia qualcuno potrebbe rintracciare la scrittura come una redenzione dal crimine. In realtà, i motivi che spingono Edward a smettere di delinquere e a scrivere altri romanzi, fra cui il famosissimo Educazione di una canaglia, sono molto più prosaici: “Non esistono ladri accaniti sopra i 40 anni, il vero crimine è roba da giovani”.

5 vite: Erri De Luca

Ogni volta che parlo di Erri De Luca mi piace ricordare che ha avuto almeno altre quattro vite, prima di approdare in età avanzata alla scrittura.
De Luca nasce come militante politico. Ha una salda impostazione ideologica, è carismatico, è un leader naturale ed è perfettamente a suo agio fra le istanze del suo tempo. Entra in Lotta Continua e ne diventa in breve dirigente di spicco. La politica, specie quella dal basso, però non paga ed Erri deve barcamenarsi fra i luoghi ed i lavori più disparati. Lascia la sua città (Napoli), si trasferisce per un periodo a Parigi, fa l’operaio, il muratore, come descrive magistralmente nel racconto La città non rispose, nel quale la lettura di Céline lo accompagna nella vita del cantiere che lo porta nelle profondità del terreno, costantemente a rischio di smottamenti.
Alla politica ed alla fatica manuale, Erri accompagna studi raffinatissimi. Impara a leggere ed interpretare l’ebraico antico, fino a che finalmente, alla soglia dei 40 anni, riesce a pubblicare il suo primo, autobiografico romanzo, Non ora, non qui, in cui descrive il suo rapporto conflittuale con Napoli ed il suo passato. Qualcuno dirà che manca la quinta vita, quella dello scalatore, la via della montagna, forse la distrazione più poetica di tutta la sua carriera.

Cuore di tenebra: Joseph Conrad

Vi siete mai chiesti come abbia fatto Conrad a descrivere in modo così cristallino il grande fiume, la giungla, l’abisso selvaggio, la figura di Kurtz che ispirerà Apocalypse Now, l’enigma e l’orrore che solo il rapporto con l’ignoto e l’incontaminato sa evocare?
Se il nostro Salgari riuscì a raccontare la Malesia senza lasciare Torino, Conrad, prima di raggiungere il successo come scrittore (Cuore di tenebra lo pubblicò quando aveva 42 anni), fu un viaggiatore e avventuriero. La sua biografia è un trattato di geografia: va presto in Venezuela e poi a Parigi a fare il bohémien (e come ogni bohémien che si rispetti tenterà il suicidio). Poi comincia a prendere servizio su diverse navi mercantili: Costantinopoli, Sumatra, India. Fino all’incontro più sconvolgente, l’Africa ed il Congo, teatro di atrocità che lo segneranno per sempre e che lo porteranno a criticare ferocemente il colonialismo occidentale. E’, tuttavia, vicino ai 40 anni che Conrad abbandona la vita di mare e comincia a scrivere, raccontando ciò che ha visto nei suoi viaggi.


Sapersi reinventare in età adulta non è dunque un fenomeno recente, così come non è recente la consapevolezza che il benessere lavorativo è un fattore determinante per la propria salute mentale, come testimonia il più famoso degli scrittori divenuti tali oltre i 40 anni, Charles Bukowski: “Potevo restare all'ufficio postale e impazzire o andarmene e giocare a fare lo scrittore e morire di fame. Decisi di morire di fame”. 

 

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