Egocentrismo. I paradossi del numero uno

Egocentrismo. I paradossi del numero uno

Egocentrismo. Oppure narcisismo. Sul piano del discorso comune questi termini hanno colonizzato un territorio molto ampio della narrazione su come le persone stanno al mondo e su come gestiscono le loro relazioni. Sul versante delle relazioni affettive, per esempio, il Narcisista è diventato qualcosa di molto simile ad un personaggio di un’opera drammatica e la rete trabocca di strategie per identificarlo, indicatori per prevederne le mosse e suggerimenti per proteggersene.

Il secondo capitolo del progetto di Conad e Censis che indaga le abitudini e l’immaginario collettivo degli italiani dedotti dai comportamenti di acquisto, porta evidenze molto interessanti sulla deriva egocentrica della società contemporanea: laddove resta un valore socialmente condiviso la capacità di distinguersi, la partita autenticamente nuova rispetto al passato (in cui la distinzione era marcata strutturalmente da differenze di ceto e posizionameto economico-lavorativo) è cercare – nella pletora di stimoli, proposte di adesione, promesse di appartenenze diffuse nella vita reale e virtuale – la propria cifra distintiva.

Si assiste qui a rotture drammatiche della narrazione a cui eravamo abituati, che individuava nella relazione con stabili modelli di riferimento la progressiva formazione della percezione e dell’immagine di sé. È come se fosse andato in pezzi un immenso specchio e ognuno si trovasse in mano infinitesimali frammenti che offrono occasioni di rispecchiamento. Sempre nel rapporto Censis-Conad ci viene detto che “la potenza della soggettività muta il rapporto con la celebrità e la formazione dei miti: il 49,5% degli italiani (il 53,3% tra i più giovani) è convinto che oggi chiunque possa diventare famoso e il 90,9% non ha miti da intendersi come modelli a cui riferirsi. È la fine dello star system e l’imporsi di un immaginario dove se uno vale un divo e tutti sono divi, nessuno lo è più.”

Questa inattesa libertà, questo orizzonte spalancato di possibilità di autodeterminazione è una grande risorsa, ma può essere anche un corredo difficile da maneggiare.

La crisi socioeconomica che ha caratterizzato gli ultimi anni ha prodotto paura, rabbia, rancore. Come spinta contro-depressiva investire sul proprio benessere e sulla propria autostima sembra una buona carta da giocare. Il comportamento di acquisto è un indicatore molto interessante, perché corrisponde ad alcuni bisogni emotivi urgenti. Consente, ad esempio, di procurarsi quella micro-felicità che è decisiva per la qualità quotidiana della vita; riveste una dimenione consolatoria rispetto a contesti di vita e sociali difficili, percepiti come ostili, diversi da come li si vorrebbe; marca l’identità individuale anche rispetto a “contesti collettivi erosi, non aggreganti, dominati da una conflittualità orizzontale in cui la delimitazione degli spazi è più forte oggi della ricerca di relazioni”; diventa, genericamente, veicolo di valori simbolici, progetti, posizioni morali, idee di mondo: se compro un vino a filiera bio ecosostenibile non compro solo qualcosa che mi piace, ma dico qualcosa su ciò che per me è importante.

In questo segmento della vita quotidiana è fondamentale poi avere canali social per condividere, per mostrare le proprie scelte.

Gli studi scientifici che indagano la relazione tra l’utilizzo dei social network e aspetti egocentrici portano a esiti analoghi. Con una straordinaria comodità d’uso ci si impegna a costruire un immaginario di sé che molto ha da dialogare con la realtà, tanto da rendere la distinzione tra le due dimensioni (reale – virtuale, riferite al sé) tutt’altro che chiara.

Nel mondo digitale si moltiplica la tensione dinamica del desiderio di essere visti, accolti, approvati. Desiderio che paradossalmente sembra essere così minacciato dalla stessa frammentazione, con la percezione che tutto sia sostituibile e che nulla duri. Ed ecco che dietro l’urgenza di esserci si affacciano angosce svalutative, vulnerabilità, percezioni di inconsistenza di sé, delle relazioni, dei contesti di vita.

La ricerca di soddisfazione a portata di mano – in termini di riconoscimento, appartenenza, valore – fa sì che le posizioni egocentriche siano particolarmente funzionali in momenti storici di grande disorientamento identitario. Esprimono anche quella capacità di cui si fa un gran parlare: la resilienza. Che è anche una competenza che nasce dalla capacità di sedurre l’altro, letteralmente portarlo dalla propria parte. Gli svantaggi sono ovviamente sul lungo corso e sui comportamenti prosociali che implicano prolungato impegno e rinunce personali.

Come a dire che se è facile comprendere che il cambiamento climatico sia la principale paura fra i 26 paesi considerati nel sondaggio di Pew Research pubblicato in questi giorni, tutt’altra questione è decidere di sostituire l’uso della plastica a casa.

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