Da bipolare a narcisista: quando i disturbi mentali diventano insulti

Da bipolare a narcisista: quando i disturbi mentali diventano insulti

Era il 2004 quando Special Olympics, organizzazione che promuove lo sport per persone con disabilità intellettiva e relazionale, lanciò una delle campagne di sensibilizzazione divenute più celebri nella storia degli Stati Uniti. La r-word, la parola “retarded”, veniva chiesto fosse bandita dal linguaggio politico e pubblico, perché discriminatoria. 

In effetti, anche nella nostra lingua il ritardo implica un restare indietro, un essere fuori tempo, un deficit da colmare, e non certamente una diversità da valorizzare o sostenere. 

La campagna fu talmente pervasiva che Barack Obama nel 2010 firma la “Law Rosa’s”, che elimina le espressioni “ritardo mentale” e “mentalmente ritardato” dalla politica statunitense su educazione e lavoro. 

E’ in quegli anni che si comincia a porre attenzione presso il grande pubblico all’abilismo, intendendo con esso tutte le forme di discriminazione verso persone con disabilità e l’idea che possano esistere un corpo ed una psiche abili, da contrapporre a quelli non-abili. Fra le varie forme di abilismo rientra anche l’abilismo mentale, che comprende tutte quelle forme di discriminazione, fra cui anche l’uso di forme ingiuriose, che fanno riferimento alla patologia neurologica - pensate all’uso di demente o di ritardato come insulti - o a quella psichiatrica. 

A dire il vero, il legame fra la malattia mentale e l’insulto comune ha una storia antichissima. Linguisti ed etimologisti sanno da tempo che esiste un rapporto di reciproca influenza fra i tecnicismi medici e la creatività dell’ingiuria da strada, di cui spesso non è semplice rintracciare direzione, premesse e svolgimento.

In alcuni casi è semplice recuperare l’origine medica di un insulto. E’ il caso di termini come demente o deficiente, presi a prestito dalla medicina e dalla psichiatria. La deficienza mentale o la dementia praecox di Kraepelin si trasformano da neutre espressioni descrittive di quadri sintomatologici a sfottò, una volta trasposte nel linguaggio comune.

Il percorso contrario è accaduto al termine idiota. Se nell’antica Grecia gli idiotes erano i privati incolti e ignoranti, contrapposti ai personaggi che sanno parlare in pubblico e per questo colti, con il tempo il termine andò ad indicare sempre di più la stupidità in senso generico. E’ solo in un secondo momento che l’idiozia entra nel linguaggio medico ad indicare una condizione patologica, come poi testimoniato dal celebre romanzo di Dostoevskij, L’idiota appunto, nel quale il protagonista, il principe Myskin, è affetto da epilessia. 

Difficilissimo, invece, è stato per gli accademici riuscire a comprendere il rapporto fra il cretino come insulto ed il cretinismo come condizione medica. Il termine deriva da “cristiano” ed indicava in origine i “poveri cristi” del sud della Francia medievale che erano affetti da ipotiroidismo congenito o da patologie derivanti da una carenza di iodio, scarso nelle acque potabili di quella zona. Da lì il termine cretinismo di cui fanno ampio uso i primi teologi che riscontrano tale condizione clinica. Solo in un secondo momento il cretino diventa sinonimo dello scemo del villaggio, ma il percorso etimologico non è stato chiaro per lungo tempo. 

Anche oggi esiste un rapporto stretto fra la patologia psichiatrica e l’offesa comune. Basta fare un giro molto rapido sui social network per trovare un florilegio di esempi. Così se una persona mostra opinioni o comportamenti vagamente contraddittori gli si dà della bipolare. Oppure è facile incontrare uno stuolo di uomini e donne avvelenati con i propri ex partner, pronti a dare loro del/della narcisista patologico/a per motivare anni di relazioni tossiche o disfunzionali. Quante volte avete sentito dire che la situazione descritta era delirante o schizofrenica? Quante personalità pubbliche sono state additate come mitomani?

Siamo convinti che la lingua non sia di per sé faziosa e che uno stesso termine possa assumere accezioni molto distanti fra loro a seconda del contesto linguistico e culturale entro cui è espresso. E’ però importante rilevare un dato di fatto: le parole associate alla patologia mentale sono usate quasi sempre nel linguaggio comune in senso negativo, ad evidenziare ancora oggi lo stigma che accompagna i disturbi psichiatrici.

C’è un solo caso attuale in cui il disagio psichico sembra essere accettato dalle persone comuni, sino a diventare un vanto sociale o un fenomeno identitario: l’ansia. E’ sempre più frequente trovare ragazzi e ragazze parlare di quanto la propria ansia sia una compagna inseparabile delle proprie vicende quotidiane, da tollerare certo, ma quasi con affetto. Un termine-contenitore dalle maglie larghe, entro cui finiscono sfumature non così irrilevanti, dalla preoccupazione all’apprensione, sino alla paura e alla vera e propria fobia. Un’ansia che è bandiera nazionale a cui si può fortunatamente anche guardare con ironia. E’ così che i The Pills possono parlare dell’ansia come metodo infallibile per perdere peso. 

“A fratè, ma io c’ho l’ansia. E’ lo sport più completo, te fai tutti i muscoli coll’ansia"





 

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