Adolescenti o adulti fragili?

Adolescenti o adulti fragili?

Qualche mese fa, su Rai Storia, è andata in onda una puntata sulle contestazioni studentesche del ‘68 e sulla cornice storica e sociale di quel periodo.
In uno dei filmati di repertorio utilizzati per il documentario, si vedono molti studenti liceali parlare, con il loro linguaggio ancora imperfetto, dei motivi che li spingevano a contestare la società in cui vivevano. Poco dopo, uno di quegli studenti ormai diventato adulto, viene intervistato. Le sue parole sono imbarazzate. “In quel periodo eravamo giovani, non sapevamo nemmeno di cosa stavamo parlando”. La sua rappresentazione di quelle contestazioni è chiara: gli studenti parlavano con la presunzione di chi non ha ancora fatto i conti con l’età adulta e con il necessario esame di realtà che quest’età richiede. In poche parole, erano immaturi.

Spostiamoci in avanti di 30 anni. E’ il 2001 e a Genova si sta svolgendo il summit dei Paesi più potenti del mondo, il G8. Le numerose manifestazioni di protesta organizzate in quei giorni nella città ligure furono represse duramente. Carlo Giuliani perse la vita; la scuola Diaz, dove si erano sistemati per la notte giornalisti freelance e altri manifestanti, fu sottoposta ad una rappresaglia notturna estrema; nel carcere di Bolzaneto, i manifestanti arrestati furono torturati e umiliati per ore.
Nella narrazione dell’epoca, tuttavia, era costante il riferimento ai manifestanti come giovani irresponsabili, irrequieti e violenti, che mettono a repentaglio il processo democratico che si stava nel frattempo svolgendo nelle sedi istituzionali della politica mondiale. I ragazzini, fuori, devastano la città, mentre i grandi prendono decisioni importanti e complesse. In pochi ricordano che fra i manifestanti repressi a colpi di manganello c’erano gli aderenti alla rete Lilliput, associazione cattolica di cui uno dei maggiori promotori era Padre Alex Zanotelli e che era composta da molti adulti, anche ultrasessantenni. Adulti che sposavano in pieno le istanze dei più giovani, senza ritenerli degli immaturi che “non sanno quello che fanno”.

Questa visione dell’adolescenza e post-adolescenza è dunque un retaggio arcaico, che nella contemporaneità non sembra essersi modificata nella sostanza, nonostante siano le nuove generazioni ad essere cambiate.

Facciamo l’esempio più lampante. Le manifestazioni per il climate change che hanno trovato in una giovanissima Greta Thunberg il leader carismatico. Sono manifestazioni che invitano alla responsabilità le generazioni adulte, gestite a livello comunicativo con una competenza impressionante e soprattutto determinate ma composte, senza il ricorso a forme di violenza dimostrativa. Nonostante ciò, sono spesso state raccontate come fantasie infantili (basta leggere i molti commenti ricevuti dalla Thunberg) e l’abilità propagandistica di Greta s’insinua sia manovrata da eminenze grigie adulte. L’idea che un adolescente possa trasgredire, protestare e comunicare con cognizione di causa e competenza è emozionalmente inaccettabile per le generazioni adulte.
Andiamo avanti con gli esempi. Durante la pandemia, una delle fasce che ha risentito maggiormente il peso dei lockdown fu proprio quella dell’adolescenza. La privazione del contatto sociale e con l’ambiente esterno è stata vissuta con molta sofferenza da una generazione che ha attraversato un fenomeno epocale e difficilmente ripetibile negli anni della propria formazione identitaria e sociale.
La reazione delle istituzioni adulte (politica, scuola, famiglia) è stata di due tipi. Da una parte continuava la visione dell’adolescente irresponsabile che “per un aperitivo con gli amici sarebbe disposto a uccidere i propri nonni”. Dall’altra, gli adulti hanno risposto con preoccupazione. Le istanze adolescenziali sono state subito medicalizzate. I poveri ragazzi dovevano essere aiutati non tramite l’ascolto e la comprensione dei loro legittimi desideri, ma attraverso la prescrizione di interventi di salute mentale individuale, che teneva poco in considerazione il fondamento sociale del disagio vissuto.
L’aspetto più impressionante è che 50 anni fa gli studenti scendevano in piazza trasgredendo alle norme sociali, mentre durante la pandemia un’intera fascia d’età ha mostrato una resistenza e una adesione alle richieste sociali eroica. La risposta è stata composta e responsabile e nonostante ciò la narrazione da parte degli adulti era di trovarsi di fronte a giovani fragili e immaturi. Senza contare che le prime manifestazioni di piazza vennero fatte da adulti No Vax ultra trentenni e quarantenni, che nella convinzione di essere dominati da un potere ipocrita e dittatoriale, si percepivano molto più maturi e consapevoli del resto della popolazione.
Pensiamo ancora alle storie di giovani universitari che si suicidano perché non hanno superato un esame e avevano paura del giudizio sociale, dei familiari in primis. La comunicazione giornalistica si concentra esclusivamente sulla fragilità adolescenziale, anche in questo caso individualizzata (non tutti gli studenti che non passano gli esami si suicidano, per cui quello specifico studente doveva avere specifici problemi mentali). In pochi evidenziano il dato più preoccupante, l’iper-responsabilizzazione vissuta dal giovane che percepisce il fallimento come inaccettabile ed è angosciato per il giudizio dei genitori. Giudizio genitoriale che non viene mai esplorato e non è dato sapere quanto possa aver gravato sulla scelta del figlio suicida.

Se finora avete colto tutte le contraddizioni insite nella narrazione dell’adolescente di oggi, saranno illuminanti le tesi di Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, oltre che docente presso l’Università Bicocca e l’Università Cattolica di Milano. Lancini ribalta completamente la prospettiva, parlando di adolescenti responsabilizzati e adulti fragili: 

In realtà queste sono generazioni che si prendono carico delle fragilità adulte, al punto di non chiedere a volte neanche aiuto, al punto di responsabilizzarsi durante la pandemia e anche durante la fine di una pandemia, come dicono tutti i dati di ricerca, e contestare sempre meno di quanto uno si aspetterebbe essendo cresciuto come me negli anni Settanta. Sono adolescenti che hanno un funzionamento meno trasgressivo, meno oppositivo, e che hanno un grosso problema più legato agli ideali elevati di successo e di popolarità che la società di oggi crea ogni giorno, e li crea attraverso modelli culturali, anche televisivi, straordinariamente potenti. Quindi che cosa succede?
Che abbiamo degli adulti talmente fragili che prima della pandemia dicevano che il malessere dei ragazzi dipendeva da internet, cosa che a mio avviso era una semplificazione brutale. Visto che la società risente di internet, dell’uso sconsiderato che ne fanno gli adulti, che ogni giorno governano la scuola e gli allenamenti delle squadre di calcio con i gruppi di WhatsApp. Adesso si dice che è colpa della pandemia.” (fonte: https://www.mentinfuga.com/leta-tradita-parlando-di-adolescenza-con-matteo-lancini/).

Se un tempo gli adolescenti ritenevano di poter cambiare il mondo, trasgredendo, oggi attaccano il proprio corpo e sé stessi (autolesionismo, ritiro sociale, disturbi alimentari), a causa delle scelte scellerate dettate dalla fragilità adulta, che non è più in grado di comprendere le richieste adolescenziali e di farsene carico, ma anzi, richiedendo ai più giovani prove, tenacia e maturità che nemmeno gli adulti stessi mostrano. Chi è dunque davvero fragile?

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