Nel lontano 1936, lo psicanalista svizzero Carl Gustav Jung scriveva:
“Con la guerra mondiale sembra essere sorta per l'Europa un'epoca in cui accadono cose che prima si sarebbero tutt'al più sognate. Già la guerra tra nazioni civili era considerata quasi una vecchia favola; una simile assurdità sembrava sempre meno possibile in questo mondo ragionevole, a organizzazione internazionale. E quel che seguì alla guerra fu una vera tregenda. Crolli fantastici, mutamenti di carte geografiche, regressi politici verso prototipi medievali e antichi, stati che ne fagocitavano altri superando di gran lunga, in quanto a totalitarismo, tutti gli esperimenti teocratici anteriori, persecuzioni di cristiani e di ebrei, massacri politici di massa (...)
Ma che in un paese veramente civile che si pensava avesse già da un pezzo superato il Medioevo, un antico dio della tempesta e dell'ebbrezza, cioè quel Wotan che da tanto tempo era andato storicamente a riposo, potesse ridestarsi a una nuova attività come un vulcano spento, questo è più che strano: è addirittura eccezionale. Com'è noto, quel dio nacque nel Movimento giovanile tedesco e fu onorato, fin dall'inizio della sua resurrezione, con sacrifici cruenti di pecore. Erano quei giovanotti biondi (talvolta anche ragazze) che, armati di zaino e di chitarra, si vedevano aggirarsi instancabili su tutte le strade d'Europa, dal Capo Nord alla Sicilia, i fedeli seguaci del dio errabondo. Più tardi, verso la fine della Repubblica di Weimar, si diedero al vagabondaggio le migliaia e migliaia di disoccupati che s'incontravano dovunque erranti senza meta. Nel 1933 non si girovagava più, si marciava a centinaia di migliaia, dai bambinelli di cinque anni ai veterani. Il movimento hitleriano mise letteralmente in piedi l'intera Germania, dando vita allo spettacolo di una nazione che migrava segnando il passo. Wotan, il viandante, si era destato. (...)
Egli è infatti un dio d'impeto e di bufera, un infuriare di passioni e di ardore guerriero; è per di più un potente incantatore e illusionista, versato in tutti i segreti della natura occulta.
Per uno spirito ancora infantile che consideri gli dei come entità metafisiche realmente esistenti ovvero come invenzioni giocose o superstiziose, il suddetto parallelo fra Wotan redivivus e la tempesta socialpolitica e psichica che scuote la Germania odierna potrebbe almeno passare per una parabola. Ma poiché gli dei sono indubbiamente personificazioni di forze psichiche, l'affermare la loro esistenza metapsichica è una presunzione dell'intelletto tanto quanto l'ipotesi che essi siano stati inventati.”
La lunghissima citazione, che fa parte del saggio intitolato per l’appunto Wotan, è qui a servizio della riflessione sugli accadimenti che recuperano, in epoca contemporanea, immaginari metafisici, religiosi, esoterici, a suffragio di manifestazioni di protesta o rottura di un assetto dato. Mi riferisco, come epigono di questa tendenza, arrivato in pochi giorni agli onori della cronaca, al sedicente “Sciamano di QAnon” a capo dell’occupazione del Congresso in America. QAnon è il ricettacolo di una somma tentacolare di credenze e supposizioni che proprio nel mondo esoterico affonda il suo codice: in estrema sintesi, è un movimento piuttosto popolare negli Stati Uniti (e popolarissimo tra gli elettori di Trump) che attraverso messaggi cifrati in Internet denuncia il pericoloso potere di una setta di satanisti, con vertici apicali tra le star di Hollywood e le personalità politiche di area democratica, che starebbe indebolendo il cuore pulsante dell’America e che deve essere deposto per la salvezza della nazione. Deliri su larga scala, si potrebbe chiosare, ma se vogliamo posizionarci su una lettura in filigrana della realtà non possiamo licenziare con leggerezza queste manifestazioni sociali e queste forme di linguaggio. Lo Sciamano che abbiamo visto sorridere nell’aula assediata del Congresso, con le posture di un novello Attila, si fa intenzionalmente portatore di forme comunicative primordiali e irrazionali. Basta solo questo a far temere che sia stato inflitto un colpo al cuore alla democrazia? Certo no, ma seguendo il filo che collega codici esoterici-archetipici-religiosi con la sollecitazione di dimensioni inconsce irrazionali, possiamo chiederci se la capacità di negoziazione, di riflessione sulla complessità, di dialogo tra istanze opposte, di ricerca di mediazione nei conflitti, che appartiene psicologicamente alla funzione dell’Io - come istanza che si pone tra gli impulsi più arcaici della psiche e la sovrastruttura morale che fonda la convivenza civile -, non sia particolarmente in pericolo.
In fondo, quando si parla degli estremismi, dei populismi, delle correnti più radicali che stanno dilagando nella società, sul piano del funzionamento psichico, stiamo esattamente parlando di un collasso della capacità egoica di mediare tra le polarità, le spinte più destrutturate e irrazionali da una parte e le istanze più culturalizzate e normative dall’altra.
Quando un archetipo della psiche collettiva profonda irrompe sulla scena, proprio perché appartiene ad una matrice ancestrale comune, ne intuiamo la forza e la pericolosità. Le forme che parlano quei codici estremi coagulano affettivamente tutta una serie di sentimenti di frustrazione, rabbia, desiderio di rivalsa che non è difficile collocare nella collettività umana. Per questo tali proposte hanno più successo in momenti di crisi profonda dei sistemi di convivenza. E anche per questo sono istanze che non si possono liquidare con leggerezza, perché evidentemente il disagio che veicolano è reale ed è una sponda, consapevole o inconsapevole, per molti malesseri individuali e anche per autentici e vitali bisogni di cambiamento. Ciò che è preoccupante non è che si costelli, sul piano psicologico e sul piano sociale, un’istanza di rottura. Ciò che è preoccupante è quando essa si offre restando invischiata e anzi rivendicando un codice essenzialmente irrazionale. E’ in quella forma polarizzata che queste proposte dichiarano di non chiedere la mediazione, l’assimilazione, il dialogo, il compromesso, la via mediana. Di non chiedere l’Io. E questo sì, fa tremare le corde più fonde della democrazia.