Come è stato il lockdown per i bambini?
Questa domanda è nata e cresciuta attraverso il confronto con mamme, papà, insegnanti di scuole per l’infanzia, durante l’estate (perché una psicoterapeuta a un certo punto qualche investigazione la fa, pure se sta al mare). I racconti sono stati una moltitudine di aneddoti, preoccupazioni, dubbi, ulteriori domande poste e riflessioni in corso. Perché se gli adulti hanno una modalità in genere più mediata e razionale per fronteggiare e assorbire un evento straordinario come quello che ci ha visto tutti costretti ad una revisione essenziale delle nostre vite quotidiane negli ultimi mesi,le reazioni affettive dei bambini trasudano più esplicitamente attraverso i loro comportamenti.
I genitori si sono trovati nella necessità di trasferire ai propri figli (o alunni) un’informazione immensa come è con ogni evidenza l’emergenza legata ad una pandemia. Al di là del modulare l’accesso formale alle notizie (alcuni adulti hanno scelto di non ascoltare le news in presenza dei figli, ad esempio), gli accadimenti hanno imposto necessariamente una ridefinizione della gestione delle cose di cui si compone il quotidiano: la scuola è stata sospesa, molti genitori sono passati a lavorare in smart working o hanno improvvisamente smesso di lavorare.
Come è stato trovarsi improvvisamente tutti insieme a casa non solo il fine settimana, ma anche il lunedì e poi il martedì?
A prima vista sembrerebbe che avere a disposizione i propri genitori in casa ogni giorno e a tutte le ore possa essere una grande risorsa per i bambini più piccoli. Ma, approfondendo lo sguardo, non è necessariamente stata una convivenza facile o felice.
Innanzitutto, c’è il cambio delle abitudini.
Per i bambini piccoli le abitudini sono rassicuranti, garantiscono continuità e danno un senso di protezione. Che sia stato esplicitato o meno il motivo del cambiamento, che si sia stati accurati o impacciati nelle comunicazioni, sappiamo che i bambini piccoli reagiscono soprattutto a un livello inconscio, sintonizzandosi sullo stato d’animo dei genitori: molta della comunicazione con loro viaggia su un piano pre-verbale ed è difficile simulare uno stato di tranquillità se profondamente si è turbati.
Sul piano dei comportamenti, poi, l’occorrenza di lavorare da casa ha significato una confusione di spazi, che normalmente sono ben divisi: lo spazio dedicato al lavoro (fuori casa) e quello dedicato alla vita privata (dentro). Un genitore che gira per casa ma è impegnato al pc e quindi perlopiù indisponibile o sbrigativo, è come avere una barretta di cioccolata messa su un ripiano della credenza troppo alto, ed emotivamente può provocare frustrazione. Molti racconti che ho ascoltato riguardano veri e propri dispetti che i bambini hanno fatto ai genitori durante il lockdown, spesso aventi come oggetto della rivendicazione proprio il pc, l’oggetto che più di ogni altro assorbe l’attenzione dei grandi: schermi “vandalizzati” con disegnini waterproof, oppure computer nascosti in luoghi impensabili. Così i bambini possono rivendicare il desiderio di un’attenzione esclusiva e dedicata, soprattutto in un momento di incertezza o inquietudine, in cui loro stessi sono in un assetto nuovo (dove sono i nonni? perché non posso giocare con gli amici?).
E’ quindi importante dedicare attenzione alle richieste di aiuto, sia quando si mostrano con comportamenti espliciti, sia quando si manifestano in modo più velato (ad esempio, la recrudescenza di comportamenti che sembravano superati, come la pipì notturna).
E’ importante cercare di capire cosa i bambini hanno compreso della situazione in corso, che tipo di scenario stanno fantasmizzando: se pure ai bambini molto piccoli può essere opportuno dare una versione edulcorata di ciò che accade, sempre è fondamentale dedicare un ascolto attento alle loro comunicazioni e alle loro domande, cercando di costruire uno scenario credibile e condiviso da tutti quelli che vengono in contatto con loro, in modo da costruire una narrazione delle cose comprensibile a coerente.
Sul piano dei comportamenti, poi, sarebbe buona norma creare un rituale che marchi il tempo del lavoro rispetto a quello del non lavoro. Che può essere fisico (se si sta in una stanza, vuol dire che si lavora, fuori dalla stanza no) o temporale (si lavora fino ad una certa ora, poi si lascia il pc da parte e si sta insieme, a fare cose insieme). Distinguere gli spazi e i tempi serve a creare contenitori di senso dell’esperienza. E’ importante anche per gli adulti ricordarselo.