Affacciati alla finestra: la funzione psicologica dei rituali

Affacciati alla finestra: la funzione psicologica dei rituali

Alle 12 si applaude. Poi alle 18 le canzoni al balcone. Alla fine, qualche sporadica richiesta per i dopocena, come accendere torce e candele. Cosa ci racconta, dal punto di vista psicologico, questa proposta di azioni rituali?

I rituali appartengono a matrici arcaiche dell’ordinamento sociale e sono sempre stati strumenti per accompagnare momenti di crisi, da quelle imprevedibili, come ad esempio i fenomeni naturali eccezionali, a quelli prevedibili, come il passaggio dall'infanzia alla pubertà. 

Il rituale ha a che fare con la soglia, rivela la necessità di entrare in relazione con quella soglia, attraversarla. L’azione concreta (cantare dai balconi o saltare il cerchio di fuoco) consente di far accadere nel mondo un processo psichico che ancora non è, o non lo è del tutto, cosciente.

L’azione rituale agisce a due latitudini diverse, entrambe essenziali.

La prima, più consapevole, ha a che fare con il desiderio di rafforzare il senso di comunità e di identità (dal condominio alla nazione) di fronte ad una minaccia che ha il potere di mandare a monte la sicurezza degli assetti conosciuti.  

È in atto una rivoluzione, siamo sotto attacco, ci sentiamo fragili e sovraesposti: la possibilità di immaginare e proporre una comunità virtuale che contenga il desiderio di far parte, che contrasti la paura della solitudine e dell’ignoto, che rafforzi la fede nei confronti dei poteri decisionali, che raccolga e interpreti la retorica del sacrificio e dello sforzo comune come valore, tutto questo fa sì che ci si dia appuntamento fuori dai balconi a cantare canzoni (non a caso, tutte particolarmente evocative di identità ed orgoglio nazionale) o applaudire o accendere candele.
Tocca una matrice collettiva e culturale profonda ed è per questo che muove reazioni affettive viscerali: esco in una città deserta e mi commuove vedere le bandiere appese ai balconi, e non per nazionalismo consapevole, ma perché lì mi connetto con un filo profondo e in parte inconscio che trama un mito culturale fondativo della mia terra d’origine. Posso anche avere una reazione contraria (mi viene rabbia), ma comunque le corde che vengono toccate sono le stesse.

L’altra dimensione che l’azione rituale sollecita, più inconscia, riguarda l’aspetto più simbolico del rituale: fare una cosa (cantare, accendere luci) mi consente di entrare nella dinamica di senso che collega una dimensione che posso controllare (l’azione appunto) con un’entità che appartiene invece alla natura dell’incontrollato. L’epidemia evoca fantasie e pensieri profondamente angoscianti, che hanno a che fare con l’ignoto e la morte. Pensare di poter agire, di poter fare una cosa, mi consente di entrare nell'immaginario che quella angoscia possa essere contenuta e che non si debba solo subirla passivamente.

Non è poco: vale la pena di sopportare un po' di stonature.


PrecedenteUna stanza piena di gente
SuccessivoPsicologi a distanza