Sto arrivando, c’è molto traffico!

Sto arrivando, c’è molto traffico!

Quando questa mattina ho detto alla mia collega che stavo per scrivere un articolo sui ritardatari cronici, mi ha raccontato che ormai da qualche anno ha adottato la strategia di differenziare gli inviti alle cene e ai compleanni: ai ritardatari cronici semplicemente comunica un orario anticipato di mezz’ora dall’inizio effettivo dell’incontro (a onor del vero, questa strategia funziona solo per un paio di volte consecutive, poi gli amici in questione capiscono il trucco: sono ritardatari, non stupidi). 

Chi, nella sua cerchia di conoscenze, non ha già messo a fuoco quel nugolo di soggetti che proprio non riesce a fare a meno di arrivare in ritardo?

Quali sono le componenti psicologiche ed affettive che si possono celare dietro questo comportamento?

Innanzitutto, dobbiamo premettere che il tempo percepito non equivale al tempo marcato dagli orologi.

Nella nostra relazione con il tempo siamo condizionati su più piani. Per esempio, c’è una importante variabilità individuale rispetto alla nostra capacità di arousal, intesa come attivazione, presenza, reattività, sia fisica che mentale. Se è vero che ci sono ritmi biologici piuttosto stabili, legati ad esempio al rilascio e al passaggio di alcuni ormoni che influenzano la disponibilità di energia, vi è comunque una differenza individuale importante, fenomenologicamente facile, che riconoscere, sui momenti della giornata in cui ci sentiamo più pronti e svegli (qualche tempo fa ho anche letto di una proposta per consentire agli studenti una certa flessibilità di entrata a scuola, proprio sul principio della diversa performatività degli individui in relazione alle ore della giornata). Questo per dire che ci sono persone molto scattanti di giorno che dopo il tramonto sono sfinite e invece persone che la sera fioriscono e la mattina hanno la faccia da mistici in ascolto di segreti arpeggi (stiamo parlando del cronotipo, se vi interessa). 

Esiste poi una grande variabilità della percezione nel tempo in base allo stato d’animo prevalente: ci sono emozioni che accelerano il senso dello scorrere delle ore, come la felicità, ed emozioni che lo rallentano, come la tristezza o la noia. 

Ma se volete utilizzare queste motivazioni per giustificare un ritardo, vi si guarderebbe con giusto sospetto. Infatti, normalmente le persone che fanno ritardo lo fanno sempre, a prescindere dal momento della giornata o dallo stato emotivo.

Alcuni studi ci dicono che i ritardatari sovrastimano le cose che possono fare in un determinato intervallo temporale. Si inzuppano di impegni e non riescono a prevedere quanto tempo dovranno dedicare ad ognuno di essi. L’errore di previsione dipende soprattutto dal fatto che vengono sottostimate le variabili situazionali che possono intervenire: un’improvvisa telefonata o l’impellente voglia di un caffè. Nella previsione, quindi, vengono messe in conto soprattutto le operazioni legate materialmente al compito, senza lasciare un certo margine a dimensioni più aleatorie. Questo, dal punto di vista psicologico, può connotare una certa rigidità nell’affidarsi compiti e pretendere la propria stessa capacità di risoluzione, posizioni che tuttavia spesso si accompagnano con un movimento inconscio contrario, ovvero con la tendenza a distrarsi o a procrastinare. E’ come se all’opera ci fossero due personaggi diversi: un’autorità severa che vigila accanto ad un tipo fanciullesco che ha voglia e intenzione di occuparsi di tutt’altro. In alcuni casi queste due istanze si esprimono con dinamiche quasi grottesche: si percepisce il fallimento della previsione, quasi masochisticamente ci si allea con la parte ribelle e si manda a rotoli il progetto, poi in un colpo ci si carica di ansia e l’ansia rende ancora più inefficace la concentrazione sul compito. 

Stiamo dicendo che i ritardatari cronici sono essenzialmente dei pessimi organizzatori?

Anche. Ma possono esistere altre manovre che sottostanno alla condotta del fare tardi. Gli studi più orientati sulla psicologia del profondo, avanzano l’ipotesi che chi ha tendenza a essere sempre in ritardo possa essere spinto da un movente di potere rispetto all’altro, con l’inconscio desiderio narcisistico di farlo dipendere da sé. Arrivare in ritardo significa mettere chi aspetta in una prospettiva di bisogno, di attesa, di preoccupazione. Ritardare può quindi diventare un dispositivo per misurare la presenza e l’attenzione dell’altro. Parafrasando Moretti in Ecce Bombo, “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se vengo in ritardo?”

Ok, siamo sul finale. 

Spostiamoci appena e raccontiamo un’altra storia.

Uno studio del 1973, condotto all’Università di Princeton da John M. Darley e Daniel Batson, e successivamente conosciuto come “l’esperimento del Buon Samaritano”, ha studiato l’influenza di alcune variabili situazionali sulla condotta del prestare aiuto. I partecipanti erano stati divisi dagli sperimentatori in due gruppi: 

- ad uno era stato affidato il compito di scrivere una relazione sulla figura del Buon Samaritano

- all’altro su un tema lavorativo, neutro rispetto alle condotte altruistiche. 

Ai partecipanti era stato poi detto di recarsi in un altro edificio per relazionare al pubblico sul tema approfondito. Trasversalmente rispetto al tema, ad alcuni partecipanti era stato detto che avevano pochissimo tempo per iniziare la relazione, mentre ad altri era stato comunicato un tempo più disteso. Mentre gli studenti passavano tra i due edifici incontravano una persona accasciata sul ciglio della strada. Lo studio ha dimostrato che i soggetti che avevano fretta di raggiungere la loro destinazione avevano maggiori probabilità di passare senza fermarsi, senza alcuna differenza significativa relativa al tema su cui verteva la relazione nella probabilità di dare o non dare aiuto alla vittima. Da ciò si è evinto che  gli atti di gentilezza siano maggiormente influenzati da fattori situazionali più che dall'indole delle persone. 

Perso per perso, amici ritardatari, giocatevi questa carta: avete fatto tardi perché avete aiutato un uomo caduto in un burrone.

PrecedenteContro l’empatia o quasi
SuccessivoTempo di relax