Abuso di professione

Abuso di professione

Drop Dead Diva è una serie televisiva di qualche anno fa, tuttora trasmessa su La7d. Il pretesto da cui parte l’intreccio narrativo è quello di una doppia morte contemporanea. Deb, una modella 24enne, bionda, alta e bellissima, ha un incidente d’auto; Jane, un’avvocata 32enne insicura e sovrappeso viene uccisa da un colpo di pistola all’interno dello studio legale per cui lavora.

Per una serie di eventi, l’anima di Deb si ritrova improvvisamente nel corpo di Jane. All’inizio, la ragazza frivola e attraente rifiuta il nuovo corpo, nonostante abbia la possibilità di vivere ancora. Con il tempo scoprirà che, seppure la sua anima è integra e i ricordi sono quelli della sua vita precedente, da Jane ha acquisito non solo il corpo, ma anche l’intelligenza e, soprattutto, le competenze. Questo è il motivo per cui Deb – ormai divenuta Jane – può incredibilmente avere successo nel suo nuovo lavoro, vincendo casi su casi grazie all’esperienza e agli studi di Jane, conservati in qualche parte recondita del cervello. 

Immaginate cosa sarebbe successo se Deb non avesse ereditato alcuna competenza professionale da Jane. Sarebbe stato impossibile per lei fare l’avvocato, i suoi goffi tentativi di comprendere il linguaggio legale e sapere i cavilli di legge indispensabili per aiutare i propri clienti sarebbero falliti dopo 2 ore. Alla terza ora, sarebbe stata cacciata dallo studio.

Questa storia di fantasia è utile per fare una riflessione sull’abuso di professione. Nessuno di noi si affiderebbe ad un avvocato che non abbia studiato legge, non sia iscritto all’albo professionale e non abbia acquisito esperienza sul campo. Allo stesso modo, nessuno di noi si farebbe operare da una chirurga non qualificata, la cui attività non venisse costantemente supervisionata e valutata da colleghi e superiori. 

Essere avvocati, così come essere medici, non significa solo saper intervenire sul problema portato dal cliente o dal paziente, ma significa far parte di una comunità scientifica e professionale riconosciuta, che sia in grado di accompagnare le nuove leve che si affacciano in un mondo del lavoro complesso e delicato.

Perché, tuttavia, ciò che appare normale in altri campi, nel mondo della psicologia non è così immediato? La psicologia sta nel tempo costruendo, assieme alla società più ampia - che esprime sempre più il bisogno di interventi psicologici competenti - una committenza, se non un vero e proprio mandato sociale.

Quando un paziente presenta condizioni conclamate e complesse (pensate a una schizofrenia), la maggior parte di noi sa bene che occorre rivolgersi alla psichiatria ed alla psicologia per permettere al paziente – e ai suoi familiari - di affrontare la condizione di disagio psichico.

Se però ci troviamo di fronte a condizioni più comuni, come i disturbi d’ansia, la depressione lieve, i problemi relazionali, scopriamo che esiste un’ampia gamma di pseudo-professioni, non riconosciute istituzionalmente e che non hanno avuto una formazione specifica, che accettano di trattare clienti con situazioni psico-fisiche comunque complesse e delicate.

E’ ad esempio il caso di counsellor, life coach e pedagogisti clinici, figure da sempre ibride, che a seguito di qualche corso o master, ma senza formazione universitaria, senza aver svolto tirocini professionalizzanti e senza abilitazione, accettano di prendere in carico persone che presentano problemi con una chiarissima connotazione psicologica. 

Tornando al caso della nostra serie televisiva, sarebbe come se Deb, facendo un breve corso di qualche settimana, prendesse in carico i clienti di Jane, senza avere minimamente competenze, intuito professionale e qualifiche di Jane. 

Eppure, come potrete vedere da questa campagna promossa dall’Ordine degli Psicologi del Lazio, esistono per esempio counsellor che scelgono di trattare persone, persino minorenni, che vivono casi complessi come un disturbo alimentare. Nel migliore dei casi quel counsellor non riuscirà a trattare il disturbo e la paziente avrà solo perso dei soldi. Nel peggiore – e forse più comune, la paziente potrebbe incorrere in un peggioramento della sua condizione e il counsellor diverrebbe presto dannoso per la salute della cliente. 

La presenza di un albo professionale degli psicologi non serve a tutelare semplicemente la professione; ha una funzione di garanzia anche verso i clienti che si rivolgono ad una psicologa o ad uno psicologo, verificando che questi ultimi si attengano al codice deontologico, ideato proprio per definire l'appropriatezza dell’azione professionale. Serve, inoltre, a tutelare i clienti dall’abuso di professione, cioè a evitare che possano affidarsi – senza saperlo – a mani inesperte e soprattutto non in grado di trattare situazioni complesse che riguardano la salute psico-fisica. 

Per questo è indispensabile che i cittadini si rivolgano a strutture specializzate o consultino gli elenchi di professionisti iscritti agli Ordini professionali della propria regione di appartenenza. 

La salute mentale è un tema sempre più rilevante nella nostra società ed è sempre più delicato. La tutela dei cittadini e dei clienti della psicologia è dunque un impegno primario per la professione psicologica. Impegno che però ha bisogno anche della collaborazione della società più ampia e delle istituzioni sanitarie, giudiziarie, scolastiche e politiche, in modo che ciascun cliente possa ricevere interventi competenti e fondati su una solida formazione universitaria e professionale. 

Con questo obiettivo l’Ordine degli Psicologi del Lazio ha lanciato la campagna sull’abuso di professione, che vi invitiamo a seguire e diffondere.

Come nella serie televisiva, all’apparenza non saresti in grado di distinguere Deb da Jane, ma solo Jane è una vera avvocata. Quale delle due è una psicologa? Soltanto consultando l’Albo professionale potrai avere la risposta.

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