Dall’insicurezza alla sicurezza lavorativa. Un percorso possibile?

Dall’insicurezza alla sicurezza lavorativa. Un percorso possibile?

a cura di Flavio Urbini, componente del comitato d’area Psicologia del lavoro 

L’attuale condizione del mondo del lavoro a livello globale, purtroppo, mostra ancora più ombre che luci. Cambiamenti su larga scala, accompagnati da crisi economiche e una diffusa instabilità politica, stanno avvenendo più velocemente e più drasticamente come forse in nessun altro periodo della storia recente. Questi cambiamenti hanno costretto molte aziende a fronteggiare in breve tempo eventi critici come, ad esempio, la chiusura di un impianto di produzione, le esternalizzazioni, le fusioni e i processi di outsourcing. Tali eventi, spesso, determinano sia azioni di ridimensionamento del personale, sia l’aumento di nuove forme contrattuali, in particolare quelle atipiche perlopiù fondate sul modello economico della gig economy. È chiaro, quindi, che l’attività lavorativa contemporanea, rispetto al passato, è diventata meno stabile, sicura e con gravi deficit di lavoro dignitoso (ILO, 2018). L’era del “lavoro per tutta la vita” ha lasciato il posto ad una condizione lavorativa satura d’incertezza e sostenuta da rapporti lavorativi caratterizzati dalla flessibilità, dalla precarietà e da una percezione di insicurezza nei confronti della natura e dell’esistenza del proprio lavoro. Proprio quest’ultima è ritenuta tra i principali fattori di stress nella società contemporanea (Shoss, 2017). Data l’importanza che il lavoro ricopre nella vita, è chiaro che questa percezione di insicurezza è problematica, poiché ostacola sia il normale funzionamento di processi psicologici rilevanti, sia l’opportunità per conseguire soddisfazione, benessere e identità per la persona.

In ambito psicologico, l’insicurezza lavorativa si riferisce alla probabilità percepita soggettivamente della perdita involontaria del lavoro nel futuro (Sverke et al., 2002): si tratta quindi di un cambiamento involontario e di un fenomeno soggettivo riguardante la continuità e la sicurezza all’interno del proprio contesto lavorativo. L’insicurezza lavorativa è un costrutto multidimensionale e in letteratura sono presenti tre differenti coppie bi-dimensionali: quantitativa, qualitativa; soggettiva, oggettiva; cognitiva, affettiva. La coppia più indagata è quella quantitativa e qualitativa; la prima dimensione si riferisce alla percezione della perdita del lavoro, mentre la seconda riguarda la percezione della potenziale perdita di benefici materiali, sociali e psicologici legati all’attività lavorativa.

Il primo contributo dotato di rilevanza e sistematicità scientifica su questa variabile risale a oltre trent’anni fa. Da allora è considerata come uno stressor lavorativo, mostrando in tante organizzazioni e in molti paesi la sua associazione negativa con il benessere individuale e organizzativo. Può essere paragonata ad un virus lavorativo (dalla parola latina vīrus, che significa veleno) che a certe condizioni, può attivare il processo di stress. L’insicurezza lavorativa, infatti, può determinare uno strain (quindi una reazione a livello fisiologico, psicologico e comportamentale nel breve o nel lungo periodo) generando delle conseguenze negative per il lavoratore e l’organizzazione. Sul piano lavorativo e organizzativo, i risultati delle ricerche hanno mostrato che riduce sia gli atteggiamenti legati al lavoro come la soddisfazione lavorativa e il work engagement, sia i comportamenti lavorativi come le prestazioni legate al compito e i comportamenti di cittadinanza organizzativa.

Si consideri che la pervasività dell’insicurezza lavorativa può manifestarsi anche oltre la sfera lavorativa di una persona. Le ricerche, infatti, mostrano ad esempio il suo coinvolgimento nel conflitto lavoro-famiglia (Richter et al., 2010) e nei problemi coniugali (Macewen et al., 1992), oltre a ridurre la soddisfazione di vita e i sentimenti di felicità (De Witte et al., 2012).

Per quanto riguarda, invece, la relazione tra insicurezza lavorativa e benessere, i risultati delle meta-analisi condotte finora (p.e. Sverke et al., 2002), hanno mostrato che l’insicurezza lavorativa correla negativamente con il benessere mentale e con la salute fisica. Per quanto riguarda le conseguenze dell’insicurezza lavorativa sul benessere e la salute in particolare, è necessario sottolineare che la maggior parte delle ricerche sono di tipo trasversale (quindi studi in cui un campione è osservato in un singolo punto nel tempo), pertanto è difficile poter dire qualcosa di certo sugli esiti a lungo termine.

Fortunatamente tale lacuna epistemica è stata colmata da una recente rassegna su cinquantasette studi longitudinali (ovvero studi eseguiti nel corso del tempo sullo stesso campione), sull’associazione tra insicurezza lavorativa, salute e benessere (De Witte et al., 2016). Da questa rassegna emerge chiaramente che l’impatto dell’insicurezza lavorativa è di tipo causale: l’insicurezza lavorativa influisce sulla salute e sul benessere nel lungo termine, piuttosto che viceversa. A titolo esemplificativo, basti pensare che le conseguenze dell’insicurezza lavorativa sulla salute fisica, possono manifestarsi a livello muscolo scheletrico (dolori ai gomiti, ai polsi e alle ginocchia) nel breve (7 giorni) e nel lungo periodo (12 mesi). Altri studi, invece, hanno rilevato un effetto dell’insicurezza lavorativa in valori futuri come l’aumento della pressione sanguigna e i cambiamenti negativi nell’indice di massa corporea. La situazione non è migliore per le conseguenze sul benessere mentale: tutti gli studi considerati nella rassegna (N=21) hanno trovato un effetto dell’insicurezza lavorativa nel tempo. In particolare, i risultati hanno mostrato un peggioramento di sintomi depressivi e un legame con l’ansia.

Tutti i risultati delle ricerche condotte finora, trasversali e longitudinali, enfatizzano come l’insicurezza lavorativa può compromettere il benessere psico-fisico dei lavoratori. Per questo motivo gli studiosi sono chiamati a identificare anche variabili “terze”, utili sia per spiegare in che modo l’insicurezza lavorativa influisce su altre variabili tramite la sua azione, sia per identificare quelle variabili che possono indebolirne (o al contrario potenziarne) l’impatto su altre, come benessere e performance. 

Oltre ad un costante e continuo impegno di ricerca, sono necessari interventi pratici per ridurre la percezione di insicurezza. In questo caso, però, è indispensabile considerare un dato oggettivo: ridurla non è sempre possibile poiché una certa misura di insicurezza sul presente e (soprattutto) sul futuro lavorativo in tempi economicamente turbolenti, nel settore pubblico e in particolare in quello privato, in molti casi sembra inevitabile. Tuttavia, le organizzazioni attraverso un’attenta gestione delle Risorse Umane, possono certamente agire a vari livelli: progettando interventi specifici ed eliminando l’esposizione allo stressor; riducendo il livello di stress, a seguito dell’esposizione allo stressor; supportando i dipendenti nel fronteggiarne le conseguenze. In quest’ultimo caso, un esempio concreto, è attraverso interventi mirati sulla comunicazione e sulla partecipazione organizzativa, aumentando così il controllo (sui processi lavorativi) e di conseguenza riducendo la percezione di insicurezza nei dipendenti.

Oggi, però, per fronteggiare fenomeni come l’insicurezza lavorativa non sono sufficienti solo le organizzazioni attraverso programmi specifici, o le politiche di un governo che regolano il funzionamento del mercato del lavoro. In questo periodo storico, è importante ricordare che è la persona, e non l’organizzazione o lo Stato, a definire il proprio percorso professionale; in questo senso si parla del ruolo strategico nella “gestione della propria carriera”, sottolineando l’impegno e il coinvolgimento diretto delle persone nei confronti del proprio percorso di carriera.  

Nell’attuale mondo del lavoro, sempre più veloce e dinamico, contraddistinto da carriere mutevoli e senza confini, le persone si configurano sempre di più come le dirette responsabili della direzione che prenderanno le loro vite professionali (e personali). Proprio per questo motivo le persone, oggi più di ieri, sono chiamate ad investire su sé stesse e diventare autrici delle proprie storie di vita e, in caso di necessità, saper fronteggiare anche uno stressor come l’insicurezza lavorativa.

Bibliografia

  • De Witte, H., De Cuyper, N., Vander Elst, T., Vanbelle, E., & Niesen, W. (2012). Job insecurity: Review of the literature and a summary of a recent studies from Belgium. Romanian Journal of Applied Psychology, 14(1), 11–17.
  • De Witte, H., Pienaar, J., & De Cuyper, N. (2016). Review of 30 years of longitudinal studies on the association between job insecurity and health and well-being: Is there causal evidence? Australian Psychologist, 51, 18–31.
  • International Labour Office (ILO) (2018). World Employment Social Outlook: Trends 2018. Retrieved from https://www.ilo.org.pdf
  • Macewen, K. E., Barling, J., & Kelloway, E. K. (1992). Effects of short-term role overload on marital interactions. Work & Stress, 6(2), 117–126.
  • Richter, A., Näswall, K., & Sverke, M. (2002). Job insecurity and its relation to work–family conflict: Mediation with a longitudinal data set. Economic and Industrial Democracy, 31(2), 265–280.
  • Shoss, M. K. (2017). Job insecurity: an integrative review and agenda for future research. Journal of Management, 43, 1911–1939.
  • Sverke, M., Hellgren, J., & Näswall, K. (2002). No security: a meta-analysis and review of job insecurity and its consequences. Journal of Occupational Health Psychology, 7(3), 242–264.

 

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