a cura del Gruppo di Lavoro Psicologia Perinatale dell'Ordine degli Psicologi del Lazio
Ad oggi, nel nostro panorama culturale, che ha visto diversi cambiamenti negli ultimi decenni relativamente all’organizzazione della famiglia, diventare genitori è sempre più una scelta consapevole della coppia che si trova ad affrontare un cambiamento importante quando arriva un/una bambino/a: fargli spazio nella mente e nella casa; capire qual è il modo migliore per prendersene cura e imparare a capirlo/a.
All’interno di ogni relazione affettiva importante ciascuno si prende cura dell’Altro ma diventare genitore vuol dire, nella nostra cultura, assumere una prospettiva completamente nuova sul modo di prendersi cura, prospettiva che nel diventare madre e padre viene acquisita facendo riferimento a fonti differenti: la donna ha più bisogno di ricevere cure da tutte le persone vicine (partner, famiglia, amici) per costruire questo modo specifico di prendersi cura; l’uomo ha più bisogno di ripensare alle cure che lui stesso ha ricevuto da bambino e di ricevere cure in particolare dalla partner. Conoscere questi aspetti aiuta a diventare più consapevoli del cambiamento che si sta vivendo, a comprendere meglio la natura e la specificità di alcuni bisogni che l’uomo e la donna possono esprimere in questo momento; ciò permette di evitare incomprensioni e lasciare che si crei quello spazio mentale e fisico per il/la bambino/a in arrivo. La presenza di incomprensioni all’interno della coppia, la percezione di non sentirsi supportati o di sentirsi a volte tristi sono segnali di un naturale cambiamento che si sta attraversando e che quindi, se transitori, non compromettono né l’equilibrio della coppia né il rapporto con il bambino. Qualora persistessero, invece, necessitano di un’attenzione specifica in quanto il/la bambino/a ha delle necessità per il suo sviluppo che non possono essere messe in secondo piano a fronte di una serie di difficoltà che, anche se più che legittime, possono essere comprese solo da altri adulti.
Per l’uomo, come per la donna, diventare genitore può rappresentare, quindi, un periodo di vulnerabilità psicologica. La ricerca in psicologia per molto tempo si è concentrata sullo studio delle alterazioni emotive della donna, in questa fase, trascurando il padre, e i disturbi affettivi paterni sono stati di conseguenza considerati, erroneamente, meno gravi di quelli materni. Diverse le ragioni di ciò: una minore disponibilità degli uomini a partecipare alle ricerche; la propensione dei professionisti che si occupano del periodo perinatale (ginecologi, ostetriche, ecc) a dare meno attenzione all’uomo, essendo gravidanza e parto esperienze che riguardano indirettamente il futuro padre; una scarsa disponibilità di metodologie di valutazione che tengano conto delle differenze di genere e infine fattori socio-culturali che hanno portato a lungo a trascurare il ruolo del padre nel periodo perinatale. Negli ultimi anni l’interesse per questo tema è aumentato. Sono stati pubblicati diversi studi sui disturbi depressivi perinatali paterni volti a valutarne la sintomatologia, l’epidemiologia, il legame con lo stato emotivo della madre e l’influenza sullo sviluppo del/la figlio/a. I padri soffrono di disturbi affettivi perinatali con una frequenza che nel mondo varia dal 2 al 31%; il 10% dei padri manifesta sintomi depressivi durante il periodo perinatale con un aumento significativo della sintomatologia dai 3 ai 6 mesi dopo la nascita.
Il termine Depressione Perinatale Paterna indica la manifestazione nel padre di una sintomatologia depressiva nel periodo che va dall’inizio della gravidanza al primo anno dopo il parto. La sua espressione clinica è differente da quella della Depressione Perinatale Materna: i disturbi sono più lievi e meno definiti essendo caratterizzati da vaghi vissuti di tensione, di tristezza, di sconforto e, solo nei casi più gravi, da stati di impotenza, disperazione e malinconia. I disturbi depressivi descritti più frequentemente sono l’umore depresso, l’irrequietezza, l’irritabilità, la preoccupazione costante riguardo l’andamento della gravidanza e la salute del bambino, la perdita di interessi, le difficoltà di concentrazione e di rendimento sul lavoro, l’isolamento sociale, l’aumento o la diminuzione dell’appetito, il calo del desiderio sessuale e l’insonnia. La diagnosi è difficile in quanto le alterazioni affettive sono frequentemente accompagnate da altri disturbi anche gravi, la cui sintomatologia può sovrapporsi a quella affettiva, oppure mascherarla, generando quadri clinici complessi. Tra queste manifestazioni patologiche sono particolarmente frequenti: 1) disturbi d’ansia (disturbo d’ansia generalizzata, attacchi di panico, fobie, alterazioni della condotta, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo post-traumatico da stress); 2) alterazioni del comportamento di malattia (ipocondria, disturbi di somatizzazione o sindromi mediche funzionali); 3) disturbi da controllo degli impulsi e dipendenze patologiche (comportamenti violenti, relazioni extraconiugali, fughe, attività fisica o sessuale compulsiva, disturbi del comportamento alimentare, abuso di psicofarmaci, di alcool, di fumo o droghe, gioco d’azzardo, dipendenza da internet).
Sul piano diagnostico la Depressione Perinatale Paterna va distinta dalla Sindrome della Couvade caratterizzata dalla manifestazione di sintomi somatici di lieve entità (nausea, gonfiore o sensazioni di fastidio, di tensione o di dolore all’addome) e di comportamenti femminili tipici della gravidanza che raramente assumono un valore psicopatologico. Lo screening dei disturbi affettivi perinatali paterni dovrebbe essere effettuato dai primi mesi di gravidanza fino alla fine del primo anno di vita del bambino, considerando con particolare attenzione la fase prenatale, periodo in cui si manifestano con maggiore frequenza. Nel complesso le ricerche svolte negli ultimi anni hanno cominciato a produrre dati interessanti:
a) durante il periodo perinatale gli stati emotivi di madri e padri si influenzano reciprocamente;
b) la manifestazione nel padre di disturbi depressivi, ansiosi e comportamentali, o di uno stile di attaccamento insicuro, sembra favorire una reazione depressiva nella madre e influenzare negativamente l’attaccamento e lo sviluppo psicologico e somatico del figlio. In questi casi la mancata assunzione del ruolo paterno di base sicura e la relazione con un padre non disponibile emotivamente o, al contrario, ansioso e intrusivo o aggressivo, rappresenta una minaccia per tutta la famiglia;
c) le ricerche empiriche hanno identificato alcuni fattori psicosociali di rischio che possono favorire la reazione depressiva paterna: manifestazione di una sintomatologia depressiva nella madre, insoddisfazione coniugale, attaccamento insicuro, alto livello di stress percepito, una storia precedente di disturbi psichiatrici, tratti di personalità (nevroticismo), bassa qualità della relazione con i propri genitori durante l’infanzia, gravidanza indesiderata, delusione delle aspettative legate alla nascita del figlio, difficoltà lavorative e scarso sostegno familiare e sociale.
Va considerato che la maggior parte delle ricerche sui disturbi affettivi perinatali paterni è stata condotta tramite questionari che risultano poco validi per la valutazione della sintomatologia affettiva maschile. Gli uomini, per motivi culturali, di ruolo sessuale o di immagine sociale, sono tendenzialmente meno disposti a rivelare le proprie difficoltà psicologiche e invece di chiedere aiuto tendono a contenere il disagio attraverso strategie “esternalizzanti” (bere, fumare, mangiare, assumere farmaci o droghe, utilizzare in modo eccessivo internet, giocare d’azzardo, dedicarsi in modo compulsivo ad attività fisiche) oppure ad agirlo manifestando comportamenti disadattivi, in particolare aggressivi. Per lo studio dei disturbi affettivi perinatali paterni è necessario quindi l’utilizzo di strumenti più specifici, che considerino le differenze di genere e che tengano conto anche di altri aspetti, come le manifestazioni ansiose, l’irritabilità, gli accessi di rabbia e gli acting out comportamentali in quanto i padri spesso manifestano le proprie difficoltà attraverso sintomi e disturbi comportamentali che possono mascherare una sintomatologia depressiva.
Le ricerche sulle funzioni svolte dal padre durante la gravidanza e nei primi mesi della vita del bambino hanno evidenziato quanto, per la prevenzione dei disturbi affettivi perinatali e i problemi della relazione madre-bambino, sia fondamentale riconoscere l’importanza del padre sin dall’inizio della gravidanza, sostenendolo nel suo ruolo, individuando le sue difficoltà e promuovendo il suo coinvolgimento nelle visite ginecologiche, nelle attività di consultorio familiare e nell’assistenza per tutto l’anno successivo al parto. Quando uno dei due partner è depresso, l’intero sistema familiare è compromesso. Trattare un genitore depresso, quindi, comporta un beneficio per l’intera famiglia. I professionisti dell’area perinatale (medici, ostetriche, psicologi, personale infermieristico) dovrebbero quindi essere preparati a considerare la salute di entrambi i genitori in tutto il periodo perinatale e a riconoscere i segni precoci di un disturbo affettivo (Baldoni, Landi 2015). Quando un genitore risulta depresso, bisogna considerare attentamente la possibilità che anche l’altro soffra di disturbi dell’umore. Per sostenere i padri nella transizione alla genitorialità e aiutarli quando manifestano difficoltà nel prendersi cura del proprio bambino/a esistono programmi di intervento specifici.
Per saperne di più
Baldoni F. & Landi G., 2015, La funzione del padre nel periodo perinatale. Attaccamento, adattamento e psicopatologia. Quaderno di Psicoterapia del Bambino e dell'Adolescente, Vol. 41, pp. 73-96.
Baldoni F. & Ceccarelli L., 2013, La depressione perinatale nei padri. In: V. Caretti, N. Ragonese e C. Crisafi, La depressione perinatale. Aspetti clinici e di ricerca sulla genitorialità a rischio. Roma, Giovanni Fioriti, pp. 145-173.
Burgess, A., 2011, Fathers’ roles in perinatal mental health: causes, interactions and effects. New Digest, Vol. 53, pp. 24-29
Cataudella S., Lampis J., Busonera A., Marino L., 2016, Il processo di costruzione del legame di attaccamento prenatale nelle coppie in attesa: una ricerca esplorativa, in Giornale Italiano di Psicologia, n. 1-2, pp. 361-368.
Fletcher R.J., 2014, The Paternal Perinatal Depression Initiative (PPDI). Fatherhood Research Bulletin, 24 (June), 2.
O’Brien A.P., McNeil K.A., Fletcher R., Conrad A., Wilson A.J., Jones D., Chan S.W, 2017, New Fathers’ Perinatal Depression and Anxiety—Treatment Options: An Integrative Review, in American Journal of Men’s Health, Vol. 11(4), pp. 863–876.
Paulson J.F. & Bazemore S.D., 2010, Prenatal and postpartum depression in fathers and its association with maternal depression. JAMA, Vol 303(19), pp. 1961-1969.