a cura di Stefania Carnevale
Nel 1862 il filosofo Ludwing Feuerbach enunciò il famoso aforisma che traghetterà il suo pensiero, attraverso i secoli, fino ai nostri giorni: “siamo cio che mangiamo”. Un mantra alimentare, ormai entrato nel linguaggio comune in tema di cibo e alimentazione per orientare le scelte ed indirizzare i consumi, ad iniziare dalla primaria scissione tra ciò che fa bene e ciò che fa male alla nostra salute. Tale scissione può essere estesa anche a ciò che è etico o non lo è, ciò che è sostenibile o non e così via… a sottolineare come in ogni preferenza confluisca una serie di motivazioni che risente di chi siamo, dove viviamo ed in cosa crediamo. Feuerbach, allora, ci perdonerà se per un attimo capovolgiamo la sua massima trasformandola in “mangiamo ciò che siamo”, partendo proprio dalla nostra identità. Cambiando punto di vista gli scenari si ampliano e riportano ad interrogativi non solo su quello che mangiamo ma anche su quello che non mangiamo, cosa il cibo che scegliamo rappresenti per noi, gli altri, la società. Se, quindi, 50 anni fa l’abbondanza di cibo era la manifestazione del riscatto di genitori nell’epoca post bellica e dell’identità nazionale, ci interroghiamo su cosa, oggi, definisca la nostra identità essendo il cibo simbolo della storia in cui siamo, individuale e collettiva. Di che dieta sei? Che stile alimentare segui? Potrebbe essere la domanda a cui rispondere nel corso di un colloquio di lavoro o nei primi approcci tra un uomo ed una donna, per sottolineare quanto la dieta che si segue possa essere un tratto distintivo della nostra personalità, così come i gusti musicali o le mete di viaggio preferite. Onnivoro, vegetariano, vegano, paleo, fruttariano, crudista… ad oggi, sappiamo che la ricerca sulle caratteristiche psicologiche di schemi dietetici si è concentrata principalmente su chi si sottopone ad una dieta dimagrante. Ma cosa sappiamo su chi sceglie altri regimi alimentari? E quali caratteristiche attribuiamo a persone che comunemente definiamo, per esempio, salutiste o che nutrono un odio dichiarato per i carboidrati? Uno studio svolto su un campione di 393 partecipanti, ha concentrato l’attenzione sulle caratteristiche psicologiche relative a cinque modelli dietetici restrittivi attraverso il confronto tra cinque gruppi distinti (vegetariano, vegano, senza glutine, paleo e dieta dimagrante) ed un gruppo di controllo non aderente ad una dieta. Nel complesso dei risultati, il gruppo impegnato in una dieta dimagrante tendeva ad essere il più “estremo” nelle sue caratteristiche, mostrando un minor grado di benessere psicologico e atteggiamenti e comportamenti alimentari meno salutari, nonché minore autocontrollo e senso di autoefficacia. Al contrario, i gruppi vegetariani, vegani e, soprattutto, i paleo, hanno mostrato caratteristiche di forza psicologica, compresi comportamenti alimentari più efficaci e motivati dalla salute. Infine, le caratteristiche dei partecipanti del gruppo senza glutine e del gruppo di controllo tendevano a collocarsi fra quelle di altri gruppi appartenenti a stili alimentari restrittivi ed il gruppo che seguiva una dieta dimagrante. (Norwood et al, 2018).
Tuttavia, l’obiettivo di questo articolo non vuole essere una categorizzazione psicologica dei diversi stili alimentari, bensì una riflessione condivisa rispetto a come ciò che siamo influenzi le scelte ed il giudizio. Non ci sorprenderà particolarmente sapere che, per esempio, mangiare determinati tipi di cibo contribuisca a rafforzare alcuni stereotipi di genere, come descritto in studi che attribuiscono agli uomini onnivori maggiore mascolinità e attrattività. Questo uestoQnon riguarda solo la tipologia di cibo ma anche la quantità o, per meglio dire, la porzione. Le donne che mangiano piccole porzioni sono percepite come più femminili, mentre gli uomini che mangiano grandi porzioni sono percepiti come più mascolini. Un ulteriore studio ci documenta, invece, attraverso uno scenario al ristorante, il modo in cui donne e uomini che mangiano in coppia combinano la scelta del cibo e la regolazione della quantità in funzione del sesso dell’altro (ci può venire in mente un primo appuntamento o un pranzo di lavoro). I risultati hanno mostrato come i partecipanti abbiano usato la dimensione quantitativa per comunicare l’identità di genere e la dimensione relativa al tipo di cibo per “ingraziarsi” le preferenze del commensale abbinando la sua scelta a quella dell’altro/a in linea con gli stereotipi di genere sugli alimenti (Cavazza et al, 2017). Le nostre scelte alimentari risultano, quindi, fortemente orientate dal sesso di chi abbiamo di fronte e, probabilmente, dai nostri obiettivi in quella relazione.
C’è chi ha declinato il discorso perfino in chiave politica. In uno studio americano è risultato come gli onnivori siano dotati di tratti personologici più autoritari e gerarchici rispetto ai vegetariani. Per esaminare se tali differenze fossero estese al comportamento politico, a un campione di studenti americani è stato chiesto di descrivere le loro diete, l’approvazione delle politiche sociali, l’orientamento politico e il comportamento di voto. I risultati hanno fatto emergere che, rispetto ai vegetariani e ai semi- vegetariani, gli onnivori favoriscono maggiormente le politiche conservatrici e meno quelle liberali, si identificano in maggior misura con il partito repubblicano, approvano maggiormente le azioni di Donald Trump e hanno maggiori probabilità di aver votato per lui (Nozlek et al, 2019).
Ma se la scelta del cibo può implicare anche delle motivazioni di ordine etico e/o politico, le grandi macro categorie inerenti il cibo, come “salutare e sano” e “nocivo e malsano” ci aprono aree di riflessione in cui lo studio della psicologia dell’alimentazione ci supporta. L’ossessione per il mangiar sano, definita ortoressia (Bratman, 1997) è uno dei disturbi piu attuali nell’area della psicologia dell’alimentazione e, poiché non esistono criteri diagnostici ufficiali, ci chiediamo in che modo possa essere riconosciuto come un disturbo alimentare o se sia da collegarsi a comportamenti inerenti uno stile di vita sano. Ricerche recenti indicano la natura bidimensionale dell’ortoressia, con una dimensione correlata all’interesse per un’alimentazione sana (ortoressia sana) e l’altra collegata ad una preoccupazione eccessiva per la stessa (ortoressia nervosa) (Depa et al, 2019). Da qui la necessità di un confine che limiti gli stili di vita sani da comportamenti disfunzionali fino all’isolamento sociale. Quali possano essere i comportamenti a rischio, in termini di stile alimentare, e le caratteristiche personologiche predittive del disturbo rimane un’ampia area di studio, così come i fattori protettivi in grado di arginare lo scivolamento verso la patologia. In generale, sappiamo che le persone che seguono una dieta vegana hanno mostrato un livello più elevato di conoscenza di un’alimentazione sana rispetto a quelle che seguono una dieta vegetariana o una dieta onnivora (Brytek-Matera A et al, 2019).
E l’incoerenza? Dove potrebbe essere collocata? In una serie americana, The Killing, c’è un dialogo che recita così:
Holder: Sono un vegetariano.
Linden: Che mangia le cotenne di maiale?
Holder: Quello è cibo spazzatura, non conta.
Linden: Non puoi fare il vegetariano e mangiare il maiale, non ha senso.
Se la costanza e l’estrema forza di volontà rappresentano l’aspetto più immaginabile di stili non propriamente convenzionali, che l’incoerenza o una certa flessibilità possano essere l’espressione di un comportamento a sé ce lo dimostra quella larga parte di persone che si identificano come vegetariane ma, in realtà, mangiano carne in determinate occasioni. Recenti studi hanno iniziato a spiegare perché alcuni vegetariani hanno maggiori probabilità di violare la loro dieta rispetto ad altri. In uno in particolare, i vegetariani hanno descritto le loro esperienze nel mangiare carne attraverso narrazioni scritte e successivamente analizzate. È risultato che i partecipanti si concedessero di mangiassero carne durante le riunioni di famiglia, in occasioni speciali o per far fluire più agevolmente una situazione sociale. In generale, le narrazioni dei partecipanti suggeriscono che il vegetarianesimo può essere meglio concepito come un’identità sociale, al di là di una semplice dieta (Rosenfeld DL, 2019). La relazione, quindi, come esperienza che modifica le proprie scelte e la propria identità.
L’alimentazione, in conclusione, come espressione di ciò che siamo in un complesso di variegate possibilità, come solo la mente umana più essere declinata. Se le scelte alimentari sono orientate da ciò che siamo (o da ciò che non siamo) risulta ancor più affascinante potersi pensare e ri-pensare attraverso il nostro rapporto con il cibo e raccontarci attraverso esso.
Bibliografia
- Bratman S Health food junkie. Yoga. 1997 J September/October: 42–50
- Cavazza N, Guidetti M, Butera F. Portion size tells who I am, food type tells who you are: Specific functions of amount and type of food in same- and opposite-sex dyadic eating contexts. 2017 May 1;112:96-101. doi: 10.1016/j.appet.2017.01.019. Epub 2017 Jan 19.
- Czepczor-Bernat K, Jurzak H, Kornacka M, KoÅ‚odziejczyk N. Strict health-oriented eating patterns (orthorexic eating behaviours) and their connection with a vegetarian and vegan diet. Eat Weight Disord. 2019; 24(3):441–452. doi:10.1007/s40519-018-0563-5
- Depa J, Barrada JR, Roncero M. Are the Motives for Food Choices Different in Orthorexia Nervosa and Healthy Orthorexia?. Nutrients. 2019;11(3):697. Published 2019 Mar 25. doi:10.3390/nu11030697
- Eurispes Rapporto Italia 2019 – https://eurispes.eu/news/eurispes-rapporto-italia-2019-i-risultati/
- Nezlek JB, Forestell CA. Where the Rubber Meats the Road: Relationships between Vegetarianism and Socio-political Attitudes and Voting Behavior. Ecol Food Nutr.2019 Jul 15:1-12. doi: 10.1080/03670244.2019.1641801. [Epub ahead of print].
- Rosenfeld DL, Tomiyama AJ. When vegetarians eat meat: Why vegetarians violate their diets and how they feel about doing so. 2019 Dec 1;143:104417. doi: 10.1016/j.appet.2019.104417. Epub 2019 Aug 23