Il Grande Capo di Lars Von Trier
In questo nuovo episodio di Profondità di Campo - Dialoghi di Cinema e Psicologica, commentiamo Il grande capo, di Lars Von Trier.
Siamo, sul piano della trama e anche della temperatura del film, molto lontani dagli altri film di Von Trier. La trama in sintesi è questa: siamo in Danimarca, una società che si occupa di informatica sta per essere ceduta ad un compratore islandese. Chi vende la società, Ravn, tuttavia, all’apparenza è solo uno dei consiglieri di amministrazione della società, fornito di deleghe sì, ma non definitivamente responsabile del destino della società. Per le grandi decisioni, ma anche per tutte le rogne, le scelte più impopolari, le crudeltà, i tentativi di corruzione e di manipolazione erotica, Ravn si è inventato la figura mitica del Grande Capo (che nessuno ha mai visto perché non esiste). Il compratore islandese, però, vuole trattare direttamente col Capo, senza passacarte. Così il nostro Ravn decide di ingaggiare un attore disoccupato per fare la parte del Grande Capo. Ma la firma del contratto viene ritardata e intanto il Grande Capo si aggira per gli uffici, entrando in relazione con le persone che ci lavorano e innescando dinamiche di potere e di seduzione.
Nonostante il tono inusuale da commedia grottesca, ritroviamo la cifra di Von Trier nella mancanza di redenzione che trasuda nei moventi relazionali. Come dice Sergio Stagnitta in questa intervista, sembra che l’inconscio, nei personaggi di Von Trier, non esista.